Amleto – È un altro nella lettura
di Alda Merini (“La vita facile”, 66 segg.) ma non incongruo. Uno che incanta
le platee ma “non ha una logica, un’assonanza, una felicità interiore”. Un
intellettuale, “un pavido come tutti i poeti”, che “vuol far credere di essere
incerto”, e così “disorienta i nemici, li sorprende”. Un neghittoso. Uno. Due: “Che
cos’è la follia di Amleto se non un enorme complesso edipico che lo spinge a
ignorare se stesso?” Non il “succube di un destino avverso”: “Non è sua madre che
combatte, non è il patrigno… da cui ha avuto una grande prova di correttezza”.
È uno che “lotta contro i suoi demoni”, le sue figure e vendette “non sono
rivolte agli altri ma a ciò che lo turba”. Tutto ciò può fare teatro, spazzando
via “l’ingegno degli altri”. Ma, per quanto genio, non può “spazzare via da
solo le vendette delle azioni”, perciò sceglie di uccidere, “perché non ha
altra soluzione”.
Amore – È tema romanzesco per
eccellenza, più della guerra, dai tempi di Omero. L’antichità pullulava di
romanzi dì’amore, a preferenza di ogni altro genere, di avventura, di misteri,
di esotismo.
È esso stesso avventura, nei romanzi,
fino a Orlando, l’“Innamorato”, il “Furioso” e quello di Virginia Woolf.
Berenice – La prima a introdurre,
come regina, e a praticare, con Mesopotamia, il matrimonio lgbt. Fra le tante Berenice
che si sacrificano per i mariti Tolomei, ce n’è una, che ascenderà al trono dei
faraoni e sposerà Mesopotamia, con un vero e proprio matrimonio. È una delle
parti perdute del romanzo “Babilonica” di Giamblico, di cui è residuato solo il
sunto di Fozio nella sua “Biblioteca”. Questa Berenice e la sua sposa Mesopotamia
sono due personaggi eponimi, e non storici, ma non per questo meno reali.
La possibile Berenice reale – l’unica
individuabile fra quelle storiche – è tipo poco tranquillizzante. L’identificazione
storica più prossima, per date, contesti e carattere, è infatti con Cleopatra
Berenice Epifania, detta Berenice IV. Una che in un paio d’anni, tra il 58 e il 55
a .C. riuscì a detronizzare il padre Tolomeo XII Aulete, a nominarsi reggente,
in coabitazione con la madre per un anno, fino alla morte di lei, mentre impegnava
a sposarla un cugino, Seleuco VII, che poi assassinava, e a sposare in seconde
nozze un gran sacerdote di Bellona in Cappadocia, Archelao, per finire giustiziata
dal padre, che si era preso la rivincita.
Femminicidio – Si può dire un esito dell’impotenza,
psicologica se non sessuale. Un vecchio detto greco ha: “Uno Scita uccide quando
beve, un eunuco quando ama”.
Paternità – Su di essa A.Merini
esemplifica la voce “Distanze”, nella raccolta di riflessioni “La vita facile”:
“Noi bambini davamo del voi a nostro padre, stabilendo così la distanza che ci
vuole tra il genitore e il figlio nella gerarchia di anime. Quel voi non era banale disciplina, stava a
significare che lui non ci aveva generati con il sesso ma con la sua mente, con
la sua audacia. Egli con la mente conduceva la nostra volontà, era l’educatore.
L’uomo buono e giusto per eccellenza”.
Questione della lingua – Nella “questione
della lingua” da cellula Pci (“sì, ma”), impostata da Pasolini con una
conferenza nel 1964 in giro per l’Italia nel circuito Aci, “Rinascita” promosse
un dibattito col suo mensile culturale “Il Contemporaneo” a fine gennaio 1965. Parteciparono
molti scrittori. Pasolini replicò, “vivacemente e diffusamente”, dice Calvino
(“Una pietra sopra”, p.143) il 6 marzo con un “Diario linguistico”. Calvino non
fa mancare il suo “ma sì”: “Le mie conclusioni sono in disaccordo con quelle di
Pasolini. Ma devo dire che nel suo scritto ho trovato molto di stimolante e di
vero, nella impostazione generale, in alcune delle rapide analisi stilistiche
(non dove parla di me, purtroppo) e in parecchie osservazioni marginali”.
Cosa diceva Pasolini? Non poco: “Il
rapporto di Calvino con l’italiano medio sta tra quello di Soldati, di Delfini
e di Moravia”. Cioè sta nell’indistinto, nella non lingua – “il rapporto di
Soldati con l’italiano medio è di accettazione fondamentale di esso in quanto
lingua dell’Ottocento”, quello di Delfini idem (e chi è Delfini?), “l’italiano
di Moravia è una «finzione» di italiano
medio”. Ma, poi, Pasolini “sistema” in due pagine, di cui una solo per Moravia
e Morante, una buona metà del Novecento
La questione della lingua l’Italia l’ha avuta per prima, con Dante, e molto bene
argomentata . Poi non l’ha aggiornata. L'ha replicata per mero spirito retorico
con Bembo, Giordani, Manzoni e Pasolini. Il veneziano Bembo, “Prose della
volgar lingua”, è quello che ha intronizzato il toscano trecentesco. Ne nascerà
la Crusca, che fino a non molti anni fa si è voluta conservatrice.
L’illuminismo lombardo attorno alla rivista “Il caffè”, di Beccaria e i fratelli Verri, e quello di Baretti, hanno tentato di svecchiare, con aperture alle novità, compresi i “forestierismi”.
L’illuminismo lombardo attorno alla rivista “Il caffè”, di Beccaria e i fratelli Verri, e quello di Baretti, hanno tentato di svecchiare, con aperture alle novità, compresi i “forestierismi”.
Un’apertura subito
chiusa. Da Manzoni, nientemeno, nelle vesti di restauratore, subito dopo l’unità
d’Italia. La “Relazione” che scrisse per il ministro dell’Istruzione Broglio fu
un invito a restare nel toscano, se non nel trecento. Qualcuno si oppose, in
particolare Graziadio Isaia Ascoli, ma con poche armi di fronte al mostro sacro
lombardo.
Ma già con Pietro Giordani, subito
dopo l’inforestieramento napoleonico, e con la rivista “La Biblioteca italiana”,
Milano aveva respinto l’invito di Mme de Stäel, “Sulla maniera e l’utilità delle
traduzione”, a sprovincializzare la lingua. Niente da fare, rispose Giordani, gli
scrittori italiani non hanno che da rifarsi ai classici, quelli italiani dopo
quelli latini e greci, “opere perfette”, pena la decadenza – questo nel 1816,
nel 1817 Giordani avrà occasione di leggere Shakespeare, e ne sarà turbato (mentre il suo monito sarà ripreso alla
lettera un secolo dopo da Gadda, ma in senso maccheronico, ironico). :
Quasimodo – “Ed è subito sera” (“Ognuno sta solo sul cuore della terra\ trafitto da un raggio di sole:\ ed è subito sera”) fa eco al Giamblico del romanzo di Merežkovskij su Giuliano l’Apostata. Al quale il filosofo, maestro occasionale, in una scena memorabile del romanzo consiglia: “Ascolta il silenzio della sera: esso parla meglio di qualsiasi parola”. Reminiscenza di una lettura dell’adolescenza – il romanzo e Merežkovskij erano lettissimi fino agli anni 1930?
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