Amore-morte – Zamjatin, “Noi”, 1920, ne
aveva già la formula matematica: A = f (M).
Dante – Presentando la traduzione
in francese di René de Ceccaty – la più originale, in ottave – Carlo Ossola
censisce sul “Sole 24 Ore” una dozzina di traduzioni della “Divina Commedia” in
francese, tutte in commercio contemporaneamente.
Italia – È materia letteraria per
mezza Europa – e anche per gli Usa. Da sempre. Forse più che la Francia o la
Spagna – è comunque la latinità materia letteraria. Senza confronto anzi con
analoghe appropriazioni di nomi, personaggi, storie, luoghi, ambienti di altri
paesi, quali la Francia e la Spagna – sempre, comunque, paesi latini. Da parte
dei tedeschi soprattutto, da Goethe a Thomas Mann – e a Ingebrg Bachmann,
Henze, Enzensberger. Degli inglesi, da Shakespeare e Milton D.H.Lawrence, con
mezzo Ottocento (Byron, Keats, Shelley). Dei francesi naturalmente, Stendhal,
Dumas, e molti contemporanei. Degli americani, Hawthorne, Henry James, Edith
Wharton, Hemingway, Pound. Dei russi. Degli spagnoli. Oltre alla vasta produzione
del Grand Tour, di letteratura di viaggio.
Curiosamente, non c’è l’analogo in
Italia, un interesse di poeti e scrittori per storie e vicende di Francia o
Spagna, o Germania. Per non dire l’Inghilterra o gli Stati Uniti. Benché l’Italia
sia stata per un secolo e mezzo terra di emigrazione. Quando c’è “l’America”, nei
romanzi recenti di Mazzucco o Gangemi, è solo un riflesso estraneo e quasi
ostile. Non c’è peraltro una letteratura italiana di viaggi. Come se l’Italia,
che esercita molto fascino sui non italiani, mancasse di curiosità.
Morte a Venezia – Perché non leggere il
racconto come una parafrasi, in chiave omosessuale, dell’innamoramento di
Thomas Mann per Katja Pringsheim, che sarebbe diventata sua moglie, madre con
lui di sei figli?
In “La questione ebraica”, 1921, Mann
accenna ai racconti di ambiente ebraico da lui scritti. “Sangue velsungo”,
sulla famiglia della moglie, “L’eletto”. E anche a una poesia: “Un’altra volta
a proposito del tema ebraico mi sono addirittura abbandonato ai versi”. Nei quali
ricorre un “protetto”: “Come la prima volta a Venezia in appagamenti onirici e
delizia\ Ancora una volta il cuore fluttuò dieci anni più tardi\……. Allora, mio
protetto\ quando io, con giovanile desiderio di esaltazione, lasciai sulla
dolce figura\ posare i miei occhi, il destino si abbatté su di te, ti chiamò la Voce…”. Ma perché il “protetto”
non sarebbe la moglie Katja? Di famiglia ebraica. Con la quale l’amore era
sbocciato in un incontro a Venezia. Con “giovanile desiderio di esaltazione” ,
lui essendo già di trent’anni e scrittore affermato.
O è propriamente di un lui che si parla?
Ma un lui ebreo? Il saggio-intervento “La questione ebraica” fu ritirato da
Thomas Mann, dall’editore Fischer che lo aveva in composizione, per l’irritazione
di Katja.
“Morte a Venezia” com’è noto Th. Mann
aveva finito per dichiarare “pre-fascista”, un po’ al modo del post-fascismo di
Pasolini in “Salò-Sade”, rovesciato: qui si tratta della distruzione dei corpi,
lì della glorificazione. Il 26 gennaio 1938, mentre sta lavorando a “Fratello
Hitler”, Mann annota nei “Diari” di aver conversato con Ferdinand Lion del “nazionalsocialismo anticipato di vent’anni
nella «Morte a Venezia»”. E il 30 maggio, due mesi dopo la pubblicazione di
“Fratello Hitler”, scrive a Agnes E.Meyer, a proposito della tendenza di
Aschenbach, quasi un autoritratto, alla semplificazione: “Erano tendenze di
quell’epoca, che stavano nell’aria molto prima che circolasse la parola
«fascismo» e che quasi non si riescono a riconoscere nel fenomeno politico che
porta quel nome. Eppure hanno a che fare in una certa misura con esso, e sono servite
alla sua preparazione morale”.
Rete – “La Rete è nata come strumento militare
e le persone che la utilizzavano erano chiamate cowboy perché si trovavano in una zona di frontiera, libera. Ora è un grande supermercato, un’arena piena
di gladiatori convinti di potersi
permettere di tutto”, Gabriele Salvatores, “Sette”.
Romanzo – La fine del romanzo o la
fine della critica? La fine del romanzo è stata annunciata molte volte dopo la
guerra – va con la pace? Ora, qualche dato sembra confermarla. Sull’onda dell’apocalisse
annunciata dieci anni fa da Philip Roth, al momento di prendere i voti del
silenzio: “Fra venticinque anni i lettori dei romanzi saranno di culto. Ci sarà
sempre gente che li legge, ma in piccoli numeri. Forse un po’ di più di quanti
leggono la poesia latina, ma in quell’ordine di grandezza”.
Il mercato
americano sembra dargli ragione: nei cinque anni al 2017 ha visto le vendite di
romanzi contrarsi del 23 per cento. Il genere va peraltro contro le abitudini
di lettura che l’elettronica dominante
induce, ai messaggi brevi, o alle storie televisive, che scorrono veloci, e
ogni giorno in gran numero .
Sulla “New York Review of Books”, lo
scrittore anglo-bengalese Zia Haider Rahman ha un’opinione diversa, non
peregrina: è la morte del critico che affetta piuttosto il romanzo letterario.
Perché, riflette, il romanzo in sé è fiorente più che mai. Seppure nelle forme del
film, del film-tv, del docu-film. Per le quali forme molti romanzi sono
scritti, è vero, rapidi e superficiali, sceneggiature per cicli d’immagini. Ma
questo non pregiudica il romanzo letterario – il fogliettone o romanzo seriale
d’intrattenimento è sempre esistito, accanto a quello più propriamente “scritto”.
Ciò che abbatte il romanzo-romanzo è la critica. Svanita, se non nelle forme di
goodreads, “un braccio del behemot
amazon”, o allora delle classifiche di vendita dei libri – che sono in vari
modi influenzate dall’industria libraria.
Una rivendicazione del genere a tutto
campo fa, come “moderna epopea della prosa”,
Thomas Mann nella lettera a Korrodi, critico letterario svizzero, e alla
“Neue Zürcher Zeitung”, del 31 gennaio 1936, “nella sua spiritualità analitica,
nella sua consapevolezza, nella sua innata propensione alla critica”. Una vindicatio senza riserve: “E inoltre la
ricchezza dei mezzi, il muoversi libero e dinamico tra creazione e indagine,
conoscenza e musica, mito e scienza, il panorama umano, l’oggettività e
l’ironia fanno del romanzo quello che esso è nella nostra epoca, la più
importante e rappresentativa delle creazioni letterarie”.
letterautore@antiit.eu
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