mercoledì 24 gennaio 2018

O viaggiano le merci o viaggiano gli uomini

C’è un ragione economica, oltre a quelle sociali e umanitarie, per l’ammissione dell’Africa e dell’Asia meridionale, le aree a forte emigrazione, agli cambi internazionali. E per investire - favorire gli investimenti - nelle stesse aree. Con l’effetto di alleviare l’immigrazione di massa, incontrollata e poco sostenibile: se viaggiano le merci non viaggiano le persone.
Era la conclusione settant’anni fa di un saggio classico di Paul Samuelson, “International Trade and the Equalisation of Factor Prices” (“The Economic Journal”, giugno 1948). Partendo dalla teoria classica dello scambio, per la quale il libero movimento dei fattori di produzione tra differenti regioni porterebbe a egualizzare i prezzi assoluti e relativi degli stessi fattori nelle diverse regioni, Samuelson analizza il mercato del lavoro, e giunge alla conclusione che il libero scambio delle merci egualizza i salari dei lavoratori non qualificati.
Il commercio come sostituto per il movimento delle persone. È quello che avviene negli scambi con la Cina, l’India, il Vietnam, le economie associate al libero scambio: se ne importano le merci ma non i lavoratori. Teoricamente, è “come se” l’“invasione cinese” , o indiana, o thailandese, o turca, fosse di lavoratori cinesi, indiani, turchi – al netto naturalmente dei costi di trasporto e di accoglienza, e dello squilibrio tecnologico (specialistico, organizzativo, etc.): la produzione di certe merci nei mercati di consumo è passata ai lavoratori cinesi, indiani, etc. Ma di fatto si ha una cosa (la merce) e non l’altra (il lavoro): il lavoratore cinese, etc., non ha nessun interesse a percepire la stessa paga, non qualificata, fuori casa.

Nessun commento:

Posta un commento