Omertà
Il
padre di Pascoli, Ruggero, amministratore di un vasto latifondo di proprietà
dei Torlonia, fu ucciso di sera mentre tornava a casa, a San Mauro di Romagna
(oggi San Mauro Pascoli….) con un colpo di fucile alla nuca. L’assassinio
divenne uno dei casi di cronaca giudiziaria di maggiore clamore. Anche perché
coinvolse complicità in alto grado, e fu soffocato, narrano Di Giovanni e
Guaita in “Vite segrete dei grandi scrittori italiani”, “da “una rete
fittissima di connivenze e omertà”. I figli “cercarono a lungo di consegnare
alla giustizia gli assassini, ma furono gli stessi abitanti di San Mauro a
metter loro i bastoni fra le ruote”. C’era un mandante, il successore di
Ruggero nell’amministrazione Torlonia, tale Cacciaguerra. E c’erano due sicari,
gli esecutori del delitto – uno di essi era un noto “repubblicano”, cioè un
sovversivo, Luigi Pagliarani di professione farmacista. Un delitto maturato in
ambiente massonico – Di Giovanni e Guaita non lo dicono, ma non ci sono dubbi.
“I giovani Pascoli vennero minacciati in una rissa da taverna, subirono
un’aggressione fisica, e alla fine furono costretti ad allontanarsi dal paese
senza avere raggiunto alcun risultato”.
Milano insegna a
volersi bene
A
Milano “anche i trombettieri suonan in modo sublime, diverso da tutti i
trombettieri del mondo”: Maria Corti non può privarsi dell’ironia presentando
(1974) Bonvesin de la Riva, il terziario milanese degli Umiliati e il suo “De
Magnalibus Madiolani”, 1288, le meraviglie di Milano. Sui trombettieri come
sulla “postilla esilarante” sulle acque e i pesci: “Le acque di Milano valgono
più di tutto il vino e l’acqua messi insieme di altre città, e sono così feconde
che, se formano un laghetto, in poco tempo generano molti pesci”.
Milano
è superiore a Roma già allora. Meriterebbe, anzi, di essere Milano la capitale
della cristianità. Ed è molto ricca: “Ci sono in Italia molte città i cui
abitanti non mangiano tanto pane quanto ne divorano da soli i cani dei
milanesi”. Ogni pochi anni viene distrutta, da vicini invidiosi e da signorotti
in cerca di bottino, ma ogni volta si ricostituisce e anzi si rafforza.
Un
entusiasmo ingenuo, che però non fa danni, e porta qualche beneficio. Bonvesin
lo estende a tutto: tutto è superiore sempre. Il nome, poi, è eccezionale: con
due M all’inizio e alla fine, due volte mille, Mediolanum, una parola che contiene tutte le vocali. Mentre il nome
moderno, Milan, con semplice rotacismo la parlata lombarda fa diventare Miran.
Si
costruisce solo sul solido – la carità comincia da se stessi.
Autobio
Eravamo
migliori quando stavamo peggio? Da molti punti di vista sì: il Sud si è
depauperato con la Repubblica, che pure ne ha eliminato l’indigenza e lo
mantiene in vita. È entrato in un “modello di sviluppo” che lo mantiene in stato
di soggezione. Volontaria, ma inevitabile.
S’incontra
nei viaggiatori del primo Ottocento un pregiato “vino di Palmi”, di cui s’è
persa pure la memoria. Insieme coi i vigneti da cui si traeva. Insieme con i
filari che ne adornavano la costa a gradoni, dal massiccio del Sant’Elia fino a
Bagnara, strisce di terra tenute su da muretti a secco- armacere. Un nettare, a
base di zibibbo e malvasia. Specie nelle anse guardanti a Sud. La ricchezza che
in Portogallo , nelle coste brulle sopra Oporto, che pure è uno centri più industrializzati
del Portgallo, è stata creata nelle vallate aperte verso il Douro. O nelle
Cinque Terre liguri. Una miniera a cielo aperto. Tutto abbandonato, tra Palmi e
Bagnara. Mentre le Cinque Terre prosperano ogni anno a nuovi record, hanno solo
il problema di dove mettere i visitatori e i soldi, tra vino, ospitalità,
cucina, trekking. Qui tutto abbandonato da subito dopo la guerra: troppa
fatica, meglio il lavoro in fabbrica, meglio anche la disoccupazione con le 52
giornate lavorative l’anno. In Liguria no: sono meno signori o più
intelligenti?
Si
può dire questa parte della Calabria una terra e una storia abbandonate,
proprio quando la storia sembrava più benevola. Nessuna imprenditoria. Se non quella
delle mafie, che non pagano le tasse e sanno tutto dei regolamenti europei –
come farsi finanziare qualsiasi cosa (perfino il miele senza alveari, vero, e i
marroni senza castagni).
L’archeologo
Vivant Denon, che poi sarà al seguito di Napoleone in Egitto, e dirigerà il
primo nucleo del Louvre, il Musée de la République che Napoleone aveva intestato
a suo nome – avendolo enormemente arricchito delle sue prede, in Italia e
altrove, si impantanò in Calabria alla ricerca vana di Sibari nel 1782-1783. Una
ricerca tanto più accanita in quanto era stata preceduta da una partecipazione
molto fruttuosa (il lascito riempie uno dei padiglioni del Louvre) agli scavi
di Pompei. Non ebbe successo – Sibari continuerà a eludere i francesi ancora
per un secolo e mezzo, sempre sfuggente. Ma ebbe fiato per descrivere una
Sibaritide edenica: “Il suolo, l’aria balsamica che vi si respira, e i suoi
prodotti la mettono al di sopra di tutte le descrizioni che se ne possano fare.
Ogni passo offre un nuovo punto di vista più pittoresco. Frutteti rustici,
annaffiati da ruscelli che scorrono a piacimento, fanno crescere aranceti alti
quanto querce, e formano al fondo dei valloni giardini deliziosi.… È attraverso
tutto questo intrico di aranci, melograni e fichi che si aprono qua e là vedute
che si compongono molto pittoresche sia con la vasta profondità del mare sia
con le forme larghe e imponenti dell’Appennino ghiacciato. Questo giardino
delle Esperidi è tanto gradevole che utile, e così abbondante che ammirevole.
Vi si raccolgono ogni specie di grani, vini eccellenti, olive deliziose, tutti
i frutti conosciuti nella nostra zona, pascoli grassi e abbondanti, e vi si
pescano pesci di tutte le specie”.
Vivant
Denon era un entusiasta, però la sua sembra la Sibaritide di oggi, fiorita e
fruttuosa. Che per due secoli dopo Vivant Denon era stata abbandonata, luogo
mefitico di malaria. Ci sono cicli nella storia. Si dice del resto “la Calabria”,
ma ce ne sono più di una. I Casali di Cosenza, da Cosenza a Altomonte, hanno
mantenuto la capacità di fare e il gusto maturati nei pochi anni nel Seicen to quando
furno nella disponibilità dei Medici, per crediti non pagati dalla corte di
Napoli. Catanzaro ha vissuto per almeno
due secoli, Sei-Settecento, e prosperato
, producendo e lavorando sete.
No
solo la Sibaritide, anche il golfo di sant’Eufemia, risalendo da Vibo e Pizzo
verso Lamezia e Nicastro, Vivant Denon trovava ulivi e frutteti da sogno: “La
costa, coperta ancora dai più bei casali, ha tutte le apparenze del più ricco,
del più popolato e del più commerciante di tutti i paesi. Bisogna ripetersi che
si è in Calabria, per non credersi sulle rive della Senna o della Loira, e per
perdere l’idea che si porta su questa provincia, che è un paese selvaggio,
deserto e povero, mentre niente le manca se non le vie che la aprano al
commercio per farne un Perù o le nuove Indie”.
.A
Colosimi, a diciotto miglia da Cosenza,
conversa a cena coi generosi ospiti di letteratura e di Voltaire. E nel
saliscendi di valloni che lo portano a Cosenza ha ancora fiato per
l’ammirazione: “Salivamo col rammarico di dover tenere gli occhi sule orecchie
delle nostre montature; perché niente è più bello, più ricco, più popoloso, più
coltivato che la media costa a sinistra e a destra. I villaggi meglio costruiti
vi si attraversano, e noi non abbiamo nessun posto in Francia più abitato e più
abbondante di ogni specie di prodotto dei dintorni di Cosenza”.
Ci
sono cicli nella stria. Vivant Denon depreca gli albanesi: “Vivono nella
pigrizia e nell’ozio, facendo lavorare le loro donne, che procurano così quello
che è necessario alla vita”. E invece gli albanesi , tra i casali di Cosenza e
il marchesato di Crotone, imprenditori o emigrati (i “germanesi” di Carmine
Abate) hanno molto rinnovato e costruito, da Altomonte a Gizzeria, da Civita a
Maida, e a Carfizzi, isole di benessere senza ombre.
Ma
all’interno dei cicli si sono linee di tendenza, e quella della Calabria punta
costante verso il basso. È la regione che viene sempre ultima in tutte le
misurazioni del benessere, reddito, occupazione, sanità, scolarizzazione,
viabilità, ambiente – solo per la criminalità, stranamente, sta meglio di tante
altre regioni italiane, ne ha cioè di meno. Non da sempre: per vent’anni nel
dopoguerra, fino ai primi anni 1960, stava decisamente meglio di altre regioni,
anche non meridionali – del Cadore, del Friuli, di vaste plaghe dello stesso
Piemonte. E non era così probabilmente due secoli e mezzo fa. Quando Vivant
Denon, per quanto entusiasta, non può essersi inventato tutto quello che ha
scritto: “C’è di tutto in Calabria, di tutto in abbondanza”, conclude dopo
un excursus sulle attività minerarie: “È
forse il paese dell’universo più bello, più ricco, più fertile e più completo
per ogni specie di produzione”. Ma già allora “segnato”: “Che sorpresa a non trovare,
in mezzo a questi tesori della natura, che villaggi in rovina, e abitanti tanto
poveri che sudici”. Anche la Calabria “Perù” l’archeologo concludeva sul
compianto: “Ma sembra che una fatalità sia stata attaccata a questa contrada
per tenerla sotto il velo della barbarie”.
La superiorità viene dal Nord
La “Tabula Rogeriana” di El Idrisi,
parliamo di nove secoli fa, raffigurava per il re di Sicilia Ruggero II il
mondo rovesciato, col Sud in primo piano e il Nord remoto. Era la pratica corrente
all’epoca. Ma si operava un semplice rovesciamento,
non una proiezione, ogni parte manteneva la sua grandezza: il Sud era equo e
non supponente.
Il concetto di superiorità, in qualche modo sempre razzista, anche depurato delle
turpitudini della Lega, è del Nord. Del Nord germanico, fino al Lombardo-Veneto
incluso.
A
Sud c’è il caso di Israele. Dove una corrente ora dominante lega la fortuna
militare e politica dello Stato ebraico alla superiorità – tecnica, morale, antropologica,
di cui il denaro è un esito e non una causa. Che si riallaccia insidiosa al
concetto di “elezione”, del popolo “scelto di Dio”. Ma questo ebraismo
(sionismo) ha molto in comune, anche la lingua e le filosofie, col germasino
post-unitario – imperiale, superiore.
“Dicono che ci siamo lasciati sfuggire
l’appuntamento con la storia, e bisogna riconoscere che arriviamo tardi a tutti
gli appuntamenti.
“Non abbiamo potuto prendere il potere, e
la verità è che ci perdiamo per via o sbagliamo strada, e magari ci facciamo un
lungo discorso sulla questione.
“Abbiamo la pessima fama di essere
vagabondi, ciarlatani, attaccabrighe, sangue caldo e festaioli, e ci sarà un
motivo. Ci hanno insegnato che, per legge del mercato, ciò che non ha prezzo
non vale niente, e sappiamo che la nostra quotazione non è moto alta. Tuttavia,
il nostro fine olfatto per gli affari ci permette di pagare per tutto ciò che
vendiamo, e ci permette di comprare tutti gli specchi che ci tradiscono il
volto.
“Da un millennio abbiamo imparato a
odiarci tra di noi e a lavorare con tutta l’anima per la nostra stessa
perdizione. Tuttavia non abbiamo potuto correggere la nostra mania di sognare a
occhi aperti e di scontrarci con tutti, nonché con una certa tendenza ala
resurrezione, inspiegabile”.
Detto da Eduardo Galeano, lo scrittore
uruguayano, dei latinoamericani: “Noi latinoamericani abbiamo la pessima fama….”
Ma adattabile, alla virgola, al Sud.
Con una differenza. Sostanziale.
Dirimente: il Sud non ha ostacoli – linguistici. culturali, istituzionali, di
frontiera o dogana. Nessuno lo chiude o lo respinge in un ghetto – le intemperanze
della Lega sono beghe familiari, nemmeno sanguinose. Il Sud ci gode, forse,
nell’abbrutimento e lo sciocchezzaio di sé.
leuzzi@antiit.eu
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