L’esaltazione,
magnificazione e santificazione del nome di Dio, l’antica preghiera
ebraica (in aramaico) in forma di poema sinfonico. Un canto per i morti, nella
tradizione. Un dialogo con Dio, nella forma del “Padre nostro”, ma senza
certezze – “Tu chiedi la fede: dov’è la tua?”.
L’alterità, nelle tradizione
veterotestamentaria, tra l’uomo e il suo Dio senza nome. Dell’umano che si
prende, nella lunga invocazione, il ruolo divino. Una sfida. Che assume, nel
testo che Bernstein ha musicato, il vagheggiamento del creato come sogno,
creazione del credente. Come in molto Borges, studioso del semitismo, e in
Kafka: “Riposa, Padre mio, dormi, sogna.\ Lascia che io inventi il tuo sogno,
che lo sogni insieme a te”. Paterno: “E forse, sognando, ti potrò aiutare a\
ricreare la tua imagine, ad amarla nuovamente”.
Un poema di forte intensità.
Che il coro e le voci banche, in dialogo o in uno con la soprano Nadine Sierra)
e la voce recitante (Josephine Barstow) innalzano solenne. Trasognato, nella
ninna-nanna intonata dalla soprano col controcanto delle voci bianche, e nel
lungo sogno della voce recitante. E monumentale insieme, nella fuga conclusiva
cui partecipano tutte le voci, celebrazione della fede consolidata,
dell’impegno di fede, della fede come impegno..
Una ripresa per i cento anni
della nascita del maestro compositore, di cui il direttore di Santa Cecilia
Pappano fu collaboratore, destinata a favorirne un sicuro revival. La sinfonia
“Kaddish”, eseguita per la prima volta due mesi dopo l’assassinio di John
Kennedy, fu dedicata al presidente americano. Con l’interpolazione di cenni
all’olocausto nucleare in agguato – il kaddish, melopea funebre, non menziona
mai la morte – che questa età di crisi sembra rinnovare.
Leonard Bernstein, Kaddish, Orchestra, Coro e Voci bianche dell’Accademia Santa
Cecilia
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