Eurafrica –L’Europa si è sempre detta appendice dell’Asia, per l’evidenza
geografica. Per la storia anche e per la cultura: l’Europa si è formata
progressivamente da Creta, dai Fenici, dal’Egitto, dalla Mesopotamia, dall’Iran
e dall’India. Ma le ultime ricerche genetiche dicono un’altra storia: gli
europei – anche gli europei – vengono dall’Africa. I bianchi erano neri, si
sono sbiancati per carenza di melanina – della eumelanina, la melanina buona,
d’irradiazione solare (le melanine sono pigmenti neri, bruni e rossastri – la feomelanina,
la melanina cattiva, è rossastra).
Uno
studio di cui danno conto sul “Sole 24 Ore” dell’altra domenica Guido Barbujanni
e Gloria Gonzalez Fortes (opera di Thorsten Günther et al., 2018, “PLoS Biology
16”) conclude in questo senso: “Fino a qualche anno
fa non c’erano semplicemente dati su cu ragionare; e quindi si ipotizzava che i
primi europei, forse 50mila anni fa (o, per meglio dire, i primi europei della
nostra specie, Homo sapiens; prima di loro c’erano i Neandertal, ma
questa è un’altra storia) avessero avuto il tempo per evolvere una pelle chiara
nel corso del loro cammino dall’Africa. Invece
non è così. L’uomo di La Braña aveva pelle scura, e come lui, altra gente che,
nel Mesolitico, viveva in Svizzera e in Lussemburgo”.
Anche i
ritrovamenti da qualche tempo in questa direzione. Il
primo inglese era nero con gli occhi chiari.
Il primo “schiarimento”
arriva dal Medio Oriente. A partire dal Neolitico, cioè con lo sviluppo dell’agricoltura
– coltivazioni e allevamento sono giunti in Europa come arti già mature dal
Medio Oriente.
Il Nord diventa bianco dopo. “Le pelli chiarissime che troviamo nel
nord Europa hanno un’altra storia. C’era
gente con la pelle chiara già 13 mila anni fa, ma stava nel Caucaso”. Saranno
stati i “dorici”, i popoli che invaderanno la Grecia dal Nord, che i germanisti
grecofili dicono loro propri antenati - e non era la Thuringia
Doringia, il paese dei dori, il paese delle sorelle Müntzenberg e
Buber-Neumann, dei Bach, di Thomas Müntzer? “Più tardi,
troviamo individui con gli stessi geni (forse loro discendenti, forse no) nell’Asia
nord-orientale, in quella che oggi è la Russia. E da lì, da Est, questi geni si
diffondono” fino alla penisola scandinava attraversando Germania e Danimarca”.
Germania
–
È anche slava – della stessa radice degli odiati slavi? È la parentela che mancava
nell’atlante del pangermanesimo semiserio che G.Leuzzi costruisce in “Gentile
Germania”, dei tedeschi in realtà francesi, mancati, inglesi, americani, e
perfino spagnoli, sull’autorità di Spengler, “Socialismo e prussianesimo”. Ma
sarebbe la più certa, in base agli studi genetici di cui sopra.
Se
ne può argomentare il nazionalismo indomabile con una mancanza: una voglia accresciuta
di essere, e di essere i primi, e i migliori, per una, per quanto inconscia,
eterogeneità. Di luoghi e popolazioni che necessariamente vi sottostanno,
essendo al centro geografico del continente. Con innesti storici incisivi. Nei
secoli post-moderni degli ebrei a Francoforte, specie nella banca. A Berlino,
al centro del regno prussiano, degli ugonotti francesi, emigrati in massa,
forti nell’amministrazione. Dell’illuminismo e di Napoleone, che informarono nuovamente
la Prussia e mezza Germania prima dell’unità.
Altri
argomenti (fatti? perché no) si possono aggiungere all’atlante che “Gentile
Germania” narra.
Sono i tedeschi
francesi? Stefan George, che ha rifatto la poesia germanica, solo da grande a
Berlino scelse il tedesco, essendo cresciuto col francese lungo il Reno, dopo
aver fatto tesoro a Parigi di Mallarmé e Verlaine. Paul Celan, celebrato poeta rumeno-francese, scrisse sempre in tedesco. Jünger, che è nazionalista
sensibile, voleva dare “tutto Stendhal per un poesia di Hölderlin”. Poi si
pentì, e riscrisse il romanzo. Ma fu l’edizione originale a fare il successo di
“Cuore avventuroso”. Nel suo diario di guerra, la Linea Sigfrido e la linea
Maginot, postazione belliche solitamente definite temibili, si fronteggiano
sulle due rive del Reno con cannicciati - “paraventi” o “contrevents” di canne. Nerval si
commuoveva al Reno: “Germania, nostra madre a tutti!” Mme de Stael è di qua
come di là. Molta letteratura d’appendice nell’Ottocento, decine di migliaia di
pagine, divide la Francia tra franchi – mezzo tedeschi - oppressori e galli
onesti lavoratori.
I tedeschi sono in realtà “francesi” anche in questo, nota Savinio
“Scatola sonora”, 137-8: “I Tedeschi, tre volte in meno di un secolo, hanno
mosso guerra ai Francesi. Per vincerli? No. Per distruggerli? No. Per
manducarli a scopo eucaristico. Per infranciosarsi (per indiarsi… Dieu est-il français?”. Sempre con la
fame di altro, concludeva: “In altri tempi, e quando non la Francia ma l’Italia
era la sirena di turno, i Tedeschi, e con lo stesso fine eucaristico, cercavano
di manducarsi l’Italia (Goethe)”.
S.Weil
ricorda in “L’enracinement”, pp.138-43 (“La prima radice”) l’atroce conquista
della Francia sotto la Loira da parte dei francesi-franchi (i tedeschi di un
tempo erano i francesi), con stragi di Albigesi e trovatori che non erano
francesi, in Borgogna, nelle Fiandre, in Sicilia. Ricorda anche che “la Franca
Contea, libera e felice sotto la lontanissima sovranità spagnola, si batté nel
Seicento per non diventare francese. La popolazione di Strasburgo si mise a
piangere quando vide le truppe di Luigi XIV entrare nella sua città in piena
pace, con una trasgressione della parola data degna di Hitler”. È questa “razza”
che nella conquista feroce del Sud ha creato l’Inquisizione, per meglio
perseguitare i felici popoli sottomessi.
Con gli
inglesi le parentele sono sempre state strette ai vertici militari e
istituzionali. Francesco Giuseppe era colonnello comandante onorario dei
Dragoni della Regina, al tempo di Vittoria, che ne conservano il ricordo con la
doppia aquila sul badge, e la Radestky March. La casa regnante Windsor era Sassonia
Coburgo Gotha Wettin fino al 1914. Come il kaiser Gugliemo II, ora
arcinemico – fu per questo che Giorgio V cambiò la denominazione familiare. Il
kaiser era peraltro nipote molto devoto della regina Vittoria, che assistette personalmente
in morte.
Guglielmo II era
di origini inglesi: sua madre era figlia della regina Vittoria. La quale era
cresciuta con principi tedeschi e più di tutti li amava, a partire dal marito.
Nel 1901 Guglielmo aveva assistito per settimane la sovrana moribonda, un fatto che aveva
commosso gli inglesi. E si segnalò per seguire in lacrime a piedi il carro
funebre. La regina Vittoria cominciò tardi a imparare l’inglese, verso i
tre-quattro anni. Per secoli i re inglesi si erano sposati tra tedeschi, e
parlavano tedesco, poco e male l’inglese.
La triplice appartenenza avrebbe potuto risolvere Madame de Staël,
all’origine franco-svizzera, Anne-Louise-Germaine Necker, la levatrice della
Germania überalles. Che rifiutò
William Pitt in matrimonio. Sarebbe stata un’altra storia, dell’Europa sassone
- si dice anglosassone ma più corretto sarebbe anglofrancosassone.
Più che altro, è da dire, la Germania non si sa destreggiare fra tutti i parenti, i franchi e i sassoni. Bismarck nel 1888 propose a Salisbury l’asse Germania-Inghilterra: la Germania rinunciava alla flotta, l’Inghilterra ratificava solennemente l’alleanza in Parlamento – Bismarck credeva ala democrazia parlamentare. Sarebbe stata la pace, e l’impero europeo, per molti anni a venire. Salisbury tergiversò, in Inghilterra era forte il sentimento normanno – l’Inghilterra è pur sempre francese a metà. E quando si decise, nel 1891, Bismarck non c’era più, cacciato dal kaiser proprio per potersi fare la flotta.
C
on gli Stati Uniti d’America i legami sono ora in sordina. Ma furono stretti – gli
Usa all’origine si posero il problema se parlare inglese oppure tedesco. E il
presidente Trump è bene un tedesco, seppure nato negli Usa, e non amabile con Angela Merkel.
“George
Washington crossing the Delaware”, l’immagine cardine della storia americana, è
di un Emmanuel Gottlieb Leutze.
I
tedeschi si distinguevano in America anche per qualità degli insediamenti, oltre che per
essere numerosi. In America più che in ogni altro posto, dice Kant nell’’“Antropologia”,
i tedeschi emigrati si sono distinti per formare comunità nazionali “che
l’unità della lingua e in parte anche della religione trasforma in una specie
di società civile che, sotto una superiore autorità, si distingue nettamente
dagli insediamenti di ogni altro popolo per la sua costituzione pacifica e
morale, l’attività, il rigore e l’economia. Questi sono gli elogi”, concludeva
Kant, “che gli stessi Inglesi fanno dei Tedeschi dell’America del Nord”.
Nel 1924 la nuova legge americana sull’immigrazione
puntò esplicita e radicale a garantire il carattere nord europeo, più
specificamente “sassone”, della popolazione. Basandosi su “The Passing of the
Great Race”, dell’ambientalista e eugenetista Madison Grant, 1916, sottotitolo
“The racial basis of European History” - un teorico del razzismo, che poneva a
base dell’antropologia e della storia, celebratore di una “razza nordica”, un
raggruppamento antropologico-culturale poco definito ma centrato sulla
Scandinavia e l’antico tedesco.
Il Johnson-Reed Act escluse ogni immigrazione
dall’Asia (l’Africa non era nemmeno presa in considerazione) e limitò
fortemente l’immigrazione dal Sud e dall’Est Europa, con un sistema di quote
basato sull’origine della popolazione naturalizzata nel 1890. A quella data
l’immigrazione dal Nord Europa rappresentava l’80 per cento del totale. Così
gli italiani, che erano arrivati in gran numero successivamente, in media 200
mila l’anno nei dieci anni dopo il 1900, ebbero la quota annua di nuova
immigrazione limitata a 4 mila. Mentre la quota annua per i tedeschi era di 57
mila - le quote per l’Italia e gli altri paesi europei erano così restrittive
che il saldo netto fu nello stesso 1924 e successivamente negativo: più
italiani lasciavano gli Usa di quanti vi entravano.
Non
c’è invece ambizione all’Italia. C’è stata, Italia e Germania sono i paesi
europei che condividono più secoli di storia post-romana, ma fino agli Ottone,
e agli Hohestaufen, Federico I Barbarossa e Federico II - con la coda del ghibellinismo. Formalmente fino al
Cinquecento, le 52 immagini degli imperatori del Sacro Romano Impero della Kaisersaal
a Francoforte richiamano tutti, chi più chi meno, l’Italia. Poi più nulla. Non nella
storia ufficiale, per effetto della Riforma. Sì nella storia tedesca poi
marginale, dei principi e dei poeti, i quali tutti amavano e copiavano l’Italia.
Ma non in quella insorgente della Prussia, e poi della Germnia.
C’era
diffidenza, anzi scarsa sopportazione, nell’Asse, malgrado il fascino che
Mussolini esercitava personalmente su Hitler. Reciproca, bisogna dire: Julius
Evola battagliava per un “arianesimo” mediterraneo superiore a quello
teutonico. C’era concorrenza. Quando il fascismo mediterraneo aprì in
Germania, anzi a Berlino, a fine 1942, quando il mondo era conquistato,
l’istituto Studia Humanitatis, con un’orazione del professor Riccobono in
latino, Goebbels minacciò di togliere la luce (“È evidente che gli italiani stanno
tentando di accampare diritti al predominio spirituale in Europa”) e Rosenberg
scrisse l’epitaffio: “È passato il nemico. L’Istituto Studia Humanitatis è una longa manus del Vaticano”. Pacelli? Vaticano? Erano nella
Germania hitleriana “Italiener!”
astolfo@antiit.eu
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