Si
sa che i critici non leggono i libri, senza infamia, troppa fatica. Ma i film?
Due ore al massimo, seduti comodi. Senza occhiali e con le mani libere. In compagnia,
di belle figliole alle prime - ci ambivano prima di #metoo. O se - poiché - un
film è prodotto industriale, la critica è solo una promozione, come di una
vettura nuova, un prosciutto, un vino?
Non
basta. Come si giunge a promuovere capolavoro uno zuppo trash, “La forma dell’acqua”? Girato come tale, a tutta
velocità, e poi proposto come film d’Autore, da Cineteca, da Oscar. Al festival
di Venezia, impegnato a premiare una produzione americana, questione di
geoeconomia, che per questo s’è data per giuria un’armata Brancaleone,
plasmabile, attorno alla presidente Annette Bening, attrice americana di seconda
fascia: Ildikó
Enyedi, Michel Franco, Rebecca Hall, Anna Mouglalis, David Stratton, Jasmine
Trinca, Edgar Wright e Yonfan. Anche così, è una
meraviglia che il capolavoro sia uscito,per quanto da impegni presi.
L’unico che mostra di aver
visto il film premiato è Francesco Boille, forse perché ne scrive su “Internazionale”,
giornale senza soldi: “Il film di Guillermo del
Toro a cui è stato assegnato il Leone d’oro è una simpatica fesseria ma nulla
più”.
I grandi
media marciano coperti e allineati:
“Geniale Del Toro in «La forma dell’acqua» (Ferzetti)
“La ricchezza del mito si sottrae alla miseria
della Storia” (Escobar), quattro stelle su cinque
“Il film di Guillermo De Toro è una romanticissima storia d’amore” (“La Stampa”)
“Una favola noir
subacquea che è anche un omaggio alla forza immaginifica del cinema” (Battocletti)
“La forza del film è un amore per il cinema che,
anziché risultare cerebrale dà sostanza alle emozioni, e senso allo stile” (Morreale).
“Una versione di «La bella e la bestia»
piacevolmente pop, infarcita di citazioni cinefile e vivifiata da un
sorprendente soffio romantico (non sprovvisto di erotismo)” (Mereghetti)
Un esito “alla grande, mescolando lo
straordinario con il banale, la magia con la quotidianità, il drmma con il
musical, spingendo al massimo l’acceleratore del romanticismo, grazie anche a
un’ambientazione malinconica e struggente” (Montini).
Poi dice che la gente non va al cinema.
Poi dice che la gente non va al cinema.
Salvatores, Oscar a sorpresa nel 1992, col suo
terzo film, “Mediterraneo”, si chiede arguto su “La Lettura” se gli otto o
novemila giurati Oscar dei cinque continenti vedano i film selezionati, e in
che lingua. Lui vinse contro “Lanterne rosse” di Zhang Yimou, nettamente
favorito, ma “alle conferenze stampa”, ricorda, “capii che del film cinese non
avevano capito nulla, credevano fosse un documentario sull’architettura, le
tegole”. Ricorda anche Clint Eastwood in giuria con lui a Cannes: “Su «Caro
diario» disse che pensava fosse un documentario su un regista italiano scomparso”.
È vero che al cinema ci si può addormentare.
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