Machiavelli non si deve giustificare. “Il
principio fondamentale della politica di Machiavelli – e a parer nostro di ogni
dottrina dello Stato che venga in chiaro con se stessa - è contenuta nelle seguenti parole: «È
necessario a chi dispone una Repubblica (o, in generale, uno Stato), e ordina
legge in quella, presupporre tutti gli uomini essere cattivi». Non serve a
nulla “dedicarsi a stabilire se gli esseri umani siano effettivamente fatti
come dice questo passo. Quello che conta è che lo Stato, in quanto istituto
coercitivo, li presupponga necessariamente costituiti come tali. Questo unico
presupposto motiva l’esistenza dello Stato”. Col diritto, anche penale: “Lo
Stato come istituto coercitivo presuppone la guerra di tutti contro tutti”.
Sono pagine, dice Fichte presentandole,
“destinate a contribuire alla riabilitazione di un uomo dabbene”, grande
scrittore, patriota fervente, esperto delle arti della politica e delle armi,
funzionario integerrimo – aveva lavorato per lo Stato “in incarichi straordinari”
ma “morì in quella povertà che egli aveva sempre vantato come il tratto più
onorevole di una repubblica”. Fichte, autoesiliato a Königsberg per non
sottostare all’occupazione francese dopo Jena nel 1806, rilegge Machiavelli, da
buon italianista, per la comune passione per la patria perduta, ne traduce un’antologia, e la commenta, dopo
un ampio saggio introduttivo. Brani di Machiavelli ripubblicherà due anni dopo
in cima ai “Discorsi alla nazione tedesca”. Un Machiavelli in chiave
antifrancese, il suo, ma pieno di intelligenza.
Non un’agiografia. Machiavelli è un non-filosofo
della storia e della politica. Di “limitatezza morale”. E di “conseguente
povertà di linguaggio – una colpa che condivide con tutta la sua epoca”. Ma,
per “la verità effettuale della cosa” come dice, studioso “aderente alla vita
concreta e alla storia”. Il suo scopo è portare stabilità, la spiegazione più
plausibile, seppure banale: c’è Cesare Borgia? teniamocelo! Da teorico di
prim’ordine della politica e della guerra. Meritevole di attenzioni e di pagine
importanti, dapprima sulla “fortuna”..
La fortuna (Glück)
è capacità. Machiavelli, dice Fichte, non la intende come caso bensì come capacità
di capire il corso degli eventi e possibilmente dominarli, in riguardo alla
situazione presente, di sé e degli eventi, e dei contesti storici. Sulla
fortuna in Machiavelli Fichte ritorna nel commento al passo specifico del
“Principe”, uno di quelli da lui antologizzati. È “agisci come se non esistesse
un Dio che possa aiutari, bensì come se dovesi fare tutto da solo”. Fortuna è
fede: “Questa fede, e la vita in questa fede, sono la fortuna autentica”. Il
contrario ne è la prova: “In linea generale è possibile ammettere come regola,
confermata dalla vita stessa e dalla storia, secondo la quale, quanto più
indecisa, codarda, neghittosa e debole è l’esistenza di singoli e di intere
epoche, quanto più è preda dei suoi sogni e spenta per una vita nuova,, tanto
più è portata a credere alla sfortuna e a un fato oscuro”.
Una lettura semplice, eppure
introspettiva e armonica col personaggio Machiavelli - Fichte scarta pure la
solita citazione d’uso: “La Fortuna è donna, ed è necessario, volendola tener
sotto, batterla ed urtarla”. Straordinaria anche la lettura del “paganesimo”,
di Machiavelli e del Cinquecento - “allo stesso modo dei papi, dei cardinali e
di tutti gli uomini valenti della sua epoca”. Per una ragione che risponde alla
situazione personale dello stesso Fichte, compresa la sua militanza massonica, ma
sottile: “Il paganesimo nasce dal seno stesso del cristianesimo in quegli
uomini a cui questa religione è stata servita dall’esterno”. Noncuranti
dell’aldilà, essi foggiano “quella disposizione spirituale prometeica” che è
“il paganesimo moderno”. Purché sorretto, beninteso, da “un carattere onesto,
retto e rude”, e da una coscienza o cultura “classica”, radicata nella
tradizione. Di cui è parte il cristianesimo. “Machiavelli fu un uomo di questo
genere. Questa è la causa evidente dei suoi errori, delle sue virtù, della sua
limitatezza, così come della sua apertura priva di riguardo”. Volle morire con
tuti i sacramenti (“cosa che fu senza dubbio utile sia per i figli, sia per gli
scritti che lasciava”), ma “contro il cristianesimo egli manifesta un’indignazione
a volte sublime”. Di un “ateismo geniale”: “Nelle commedie, e nella «Vita di
Castruccio Castracani», si riscontrano i tratti di un’autentica sfrenatezza
pagana e di un ateismo geniale”.
Con Fichte dopo Herder e Federico II di Prussia,
e poi con Carl Schmitt, quindi non solo in chiave massonica, Machiavelli ha
goduto in Germania di buona fortuna. Senza dirlo, Fichte, rilegge Machiavelli
alla luce dell’“Anti-Machiavelli” di Federivo II di Prussia settant’anni prima,
della critica del “machiavellismo” da parte di chi lo praticava senza scrupoli
- la traccia è la stessa del pamphlet
regale e, fino a un certo punto, voltairiano..
Johann Gottlieb Fichte, Machiavelli scrittore, Castelvecchi, remainders, pp. 115 € 6
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