Il “racconto perfetto” – da Montale a
Tondelli, giudizio univoco. “Perfetto” è il racconto perché non si giova di
nulla, né amori (o violenze) né sparizioni, né agnizioni, e tutto il contrario
dell’eroismo: la vita quotidiana di due vechi senza passione, un prevosto e una
lavandaia. In chiave realista, ma non “neo”: Ivan Tassi, che ha curato l’edizione
Diabasis, vi trova specchiato un senso autobiografico d’inutilità della vita. Una
vena esplorata anche altrove, per esempio da Jean Giono in “Les âmes fortes”,
1950, ma qui con più verve – la vita
dietro il nulla.
Anche gli altri suoi racconti, raccolti
postumi in brevi antologie, sono prose che rotolano, all’apparenza senza un
centro, una storia, un personaggio, un aneddoto. Curiosamente analoghe a quella
del contemporaneo Fenoglio – che però narrava di guerra, resistenza, eroismi,
antieroismi, destini alti.
L’edizione Diabasis porta le tre redazioni
del racconto. A cui “Silvio D’Arzo” (Ezio Comparoni), reggiano, classe 1920, ha
lavorato a partire dal 1947, rimaneggiandolo e anche riscrivendolo. Nel 1948 lo
pubblicò, firmandolo “Sandro Nedi”, col titolo “Io prete e la vecchia Zelinda”.
Che è la sintesi del racconto. Nel 1952 lo ripubblicò, rivisto, col nome “Silvio
D’Arzo”, e il titolo “Casa d’altri”. Poi lo riscrisse, senza pubblicarlo –
uscirà postumo nel 2002, ricostruito sulle sue carte.
Silvio D’Arzo, Casa d’altri Diabasis, pp. 144 € 15
Consulta, pp. 116 € 15
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