Bene – È politico? In un senso del politico
sì. “Il sommo bene”, arguisce Boezio di Dacia, nell’opuscolo “Sui sogni”, sul piacere
intellettuale, “che agli uomini è possibile con le azioni morali è la felicità politica; che non è morale in
virtù di qualche altro bene, ma tutti i beni rende morali attraverso di sé”. Nulla a che vedere, ovvio, con la politica
come prova e esercizio di potere. Con le derivate, tra il ridicolo e il penoso,
che infliggono le ossessive tornate elettorali ora che la comunicazione è
dominante. Con la pratica del voto, o “impegno” politico, come esercizio esaustivo
di libertà. Politica felice è la nozione dell’umanità, da Aristotele in poi,
come specie socievole – la politica elettorale semmai ne è la negazione, più
che applicazione: divisiva, opportunista, faziosa, bugiarda (anche, per dire, a
buon diritto bugiarda).
Esistenza – Ha
senso solo su basi morali: giustizia, speranza, compassione – tensione,
miglioramento, perfezionamento. Nietzsche la vuole estetica: “Solo come
fenomeno estetico l’esistenza del mondo è giustificata” (“La nascita della
tragedia dallo spirito della musica”). Che è vero per il mondo tutto, animale,
vegetale, minerale. Ma ci sono differenze nel mondo. E il mondo esiste, se ne ha coscienza, solo
nell’uomo. Che non si adagia nell’estetica, non può.
Felicità – È
intellettuale? Lo è per Dante: “Fine della filosofia è quella eccellentissima
dilettazione che non pate alcuna intermissione o vero difetto,cioè vera
felicitade che per contemplazione della
veritade s’acquista”. L’inferenza del “Convivio” (III, XI, 14) che Maria
Corti sistematizzerà in “”La felicità mentale”. Non necessariamente
intellettualistica, ma sempre riflessiva, anche se istintuale. Dell’istinto
affinato dalla pratica e pedagogia, ma anche allo stato bruto.
Lo
stesso piacere derivato dai sensi, odorato, gusto, sesso, è di fatto effetto
dell’immaginazione: di stimoli nervosi ma collazionati e elaborati dall’immaginazione.
Filosofia tedesca – Si
può riassumere in breve: passa dalla storia compiuta, del trionfalismo
imperialista, al nichilismo della sconfitta.
Legislatore - Il
legislatore è Dio. Può dannare ma deve salvare.
Male – Non è l’alterità,
non c’è un doppio binario vitale, è la défaillance
del bene, una sua debolezza o menomazione - la traccia di Plotino,
sant’Agostino. La violenza è energia. Se espressa I bruta è senza rimedio:
è energia non governabile. Se progettuale si canalizza e finalizza: è la
storia.
Contro il male si va in guerra, la resistenza è dovere, e pratica costante, in qualsiasi universo morale.
Contro il male si va in guerra, la resistenza è dovere, e pratica costante, in qualsiasi universo morale.
Medio Evo – Si
può ben dire l’epoca filosofica per eccellenza – dopo quella greca classica.
Oscurata dalla crociata laicista che soffoca tutto il periodo, ma non
oscurabile, non polverizzabile. Né il Rinascimento né l’illuminismo, né il
Novecento, la “filosofia tedesca” compresa, hanno articolazioni e corpo che la
avvicinino. In un mondo unito, senza particolarismi né sciovinismi, con una lingua
comune, da San Giovanni in Fiore a Duns e a Cordova.
Un poeta di oggi, o anche un grande romanziere dell’Ottocento, che elabori qualcosa di analogo al “Convivio”, al “Monarchia”, al “Paradiso” non è concepibile – non è nemmeno auspicato, e non per voler farsi forza dell’ignoranza (frammentazione, specializzazione).
Un poeta di oggi, o anche un grande romanziere dell’Ottocento, che elabori qualcosa di analogo al “Convivio”, al “Monarchia”, al “Paradiso” non è concepibile – non è nemmeno auspicato, e non per voler farsi forza dell’ignoranza (frammentazione, specializzazione).
Postmoderno – O
della contemporaneità vuota. Evidente nel caso di Lyotard, che l’ha teorizzato
cinquant’anni fa, come critica ma già come fatto, “condizione” postmoderna. Una
riduzione perfino esibita da chi l’ha praticato con più successo, seppure per sfida
– vi butto sul muso l’improponibile: Umberto
Eco, esperto di scolastica.
Sogno - È divinazione nella Bibbia. Non sempre ma
spesso. Giuseppe interpreta i sogni del coppiere e del panettiere del faraone,
e dello stesso faraone. Daniele interpreta quello del re di Babilonia. “I
Numeri” ne fanno profezia (12,6): “Se tra voi ci sarà un profeta del Signore,
io gli apparirò in visione o gli parlerò in sogno”. O in “Giobbe” (33, 15-16):
In sogno, in visione notturna, quando il sopore discende sugli uomini ed essi
dormono nei loro giacigli, allora Egli apre le orecchie degli uomini e li
erudisce”. Ma già in più casi del “Genesi” i precetti di Dio vengono in sogno.
Ciò
depone a sfavore della Bibbia. Che però ha anche una messa in guardia dalla
credulità, sebbene isolata, nel “Deuteronomio”, (18,10): “Non si trovi in te chi
si occupi di sogni”.
Tomaso
d’Aquino ne recupera l’ambivalenza, distinguendo la divinatio “divina”, giusta e vera, da quella “demoniaca”, che porta a mali passi – “in questo
modo risolviamo anche le difficoltà” (in che modo? che difficoltà?)).
A
volte è divinatorio, ma per caso. Sia quando aderisce a eventi già avvenuti
anche se sconosciuti (ma in questo caso può essere all’opera una forma di
registrazione mentale, anche inconscia, anche telepatica) sia quando prefigura
eventi o situazioni che poi si verificheranno. Il rapporto, dice Aristotele, è
lo stesso che intercorre fra un uomo che cammina e un eclisse.
Storia –
Sciascia la temeva (“Fine del carabiniere a cavallo”, p.15): “C’è, è vero, il
pericolo che la storia diventi un mostro e prenda a divorare romanzo e cronaca
e tutti noi insieme”. Ma che voleva dire, la storia non è cronaca e romanzo?
Stupore – Muove la filosofia
da un bel po’ prima della sua (ri)scoperta. È lunga la lista di chi lo stupore pone all’origine
della conoscenza, la meraviglia – la curiosità: da Platone, “Teeteto”, e
Aristotele, a Plotino, Tommaso d’Aquino, Dante (il “mezzo diafano”, o
“diafano”, dei tanti passi del “Convivio”, III, VII, 23-4, e III,IX, 7 e 12). Vico
lo riporta allo stato primitivo, che i primi uomini vuole “bestioni tutti
stupore e ferocia”. Ma il presepe ha il Guardincielo,
che fa la bocca a O, pastore dello Stupore, innocente.
Patrizia Cavalli (“Datura”, p. 108) si chiede: “Possibile\
che solo a noi sia dato lo stupore?” Jeanne Hersch ne ha potuto
redigere nel 1981 una storia, che poi è una storia della filosofia, intitolandola
“Storia della filosofia come stupore”. Con un effetto però curioso: una prospettiva evolutiva, una storia della filosofia
dal punto di vista della novità, della scoperta, finisce per metterla in surplace da
2.500 anni (trappola che il titolo originale evita, lo stupore adottando come
innesco, “L’étonnement philosophique”). Hersch è peraltro filosofa pratica, ha
lavorato una vita per i diritti civili all’Onu, la speculazione avendo lasciato
ventiseienne nel 1926, da dotta segretaria e divulgatrice di Jaspers, con l’opera
principale che s’intitola “L’illusione della filosofia” – (Abbagnano, che
“L’illusione della filosofia” curò nel 1942, conveniva: “Certo, l’essere non
può più costituire l’oggetto della filosofia, se questa ha perduto la sua ingenuità
primitiva”, lo stupore).
zeulig@antiit.eu
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