venerdì 16 febbraio 2018

Secondi pensieri - 335

zeulig

Decostruzione – Teoricamente è un processo interminabile, poiché procede inevitabile con la decostruzione della decostruzione. Del procedimento stesso, non dei temi e eventi oggetto della decostruzione. Essendo un procedimento, non ancorato a principio o presupposti. Della stessa natura della logica. Non lo è cioè al modo della celebre “Incoerenza dell’incoerenza” (“Destructio  destructionis philosophorum”) con cui Averroé contestò Al Ghazzali, “L’incoerenza dei filosofi” (“Destructio philosophorum”). Che nel caso riguardava un fatto preciso, l’incompatibilità (o compatibilità, secondo Averroè) di Aristotele, e della filosofia in genere, con il “Corano”.

Dio – Creazione superbamente fantastica. Si può dire la fantasia dell’intelletto all’opera.

Europa – Universale la prospetta Joseph Roth in uno sfogo passionale subito dopo avere optato per l’esilio anticipato a Parigi dalla Germania già demoniaca nel 1925 – in vari luoghi di “Le città bianche”. Confuso ma articolato: cattolica, laica, ebraica. Buona a tutto, quello che ci può essere di buono nel consorzio umano. Ad Avignone, la più “bianca” di tutte le “città bianche”, Roth vede l’Europa sapiente tra paganesimo, ebraismo e cristianesimo, tra Oriente e Occidente, tra passato e presente, in un orizzonte armoniosamente conchiuso, confuso – auspicando: “Un giorno il mondo avrà l’aspetto di Avignone?”
È un auspicio, e un’utopia, comune a molti dopo la Grande Guerra, la prima “guerra civile” europea. Nel quadro di un’umanità universale, transnazionale - “la grande e potente tradizione culturale dellEuropa antica e medievale Con lo sguardo più acuto sulla generazione – la propria – e sul mondo perduti nella guerra. Ma in Roth con un segno preciso, nell’alveo del cattolicesimo. A Parigi l’assimilazione, il sogno e la promessa dell’Ottocento contro cui Gershom Scholem protestava già ruvido col suo amico Benjamin, e più protesterà da Israele, appare a Roth diversa che a Berlino o Vienna, e anzi ideale. Un mondo senza nazionalismo né militarismo. Al cattolicesimo punta come “forza unificatrice dell’Occidente” ma anche come fede, benché in un quadro transconfessionale.
“Ciò che è riuscito a realizzare il cattolicesimo europeo”, concludeva Roth, “quale grandiosa mescolanza di razze, quale miscuglio colorito delle più disparate linfe vitali”. Senza “tediose uniformità”: “Ogni persona porta nel proprio sangue cinque diverse razze, antiche e recenti, e ognii individuo è un mondo che ha origine in cinque diversi continenti. Ognuno capisce tutti gli altri e la comunità è libera, non costringe nessuno a comportarsi in un determinato modo. Ecco qual ì il grado più alto di assimilazione: ognuno resti com’è, diverso dagli altri, straniero rispetto ad essi, se qui vuole sentirsi  casa propria. Un giorno il mondo avrà l’aspetto di Avignone?”

Sullo sfondo prospettando un ‘inculturazione ragionata: “Che timore ridicolo hanno le nazioni, e perfino le nazioni in cui si vanta una mentalità europea, se credono che questa o quella «peculiarità» possa andare perduta e che dalla colorita varietà degli esseri umani possa scaturire una poltiglia grigiastra! Gli uomini non sono dei colori, e il mondo non è una tavolozza. Quanto più numerosi sono gli incroci, tanto più nette resteranno le peculiarità”. Un “mondo meraviglioso” prospettando, “in cui ogni singolo rappresenterà l’intero”. 

Guerra – È – si combatte come con la – religione. È l’argomento di Simone Weil al generale De Gaulle a Londra – che non volle ascoltarla – per proporre un corpo di “infermiere di prima linea”: “Simili formazioni procedono necessariamente da un’ispirazione religiosa”. Allo stesso modo delle SS con l’“eroismo della brutalità”, i parà e gli altri gruppi scelti di Hitler: “Non nel senso dell’adesione a una Chiesa determinata, in un senso assai più difficile da definire ma al quale solo questa parola è adatta. Ci sono circostanze in cui tale ispirazione costituisce un fattore di vittoria più rilevante di quelli militari in senso stretto”. Hitler vinceva perché sapeva quanto il fattore morale è decisivo nella guerra ideologica: “Non che l’hitlerismo meriti il nome di religione. Ma è senza dubbio un surrogato di religione, e questa è una delle cause principali della sua forza”. Avere soldati “animati da una diversa ispirazione rispetto alla massa dell’esercito, un’ispirazione che somiglia a una fede”.
Simone Weil proponeva le infermiere di prima linea suggestionata dall’osservazione di Joë Bousquet, cui in guerra il tenente Louis Houdard, un gesuita, aveva dato una sola consegna, non attardarsi sui feriti: “Il soldato che combatte non deve fermarsi a sentire i lamenti d’un soldato che muore”. Il soldato non vede la battaglia, la battaglia è un dovere che egli esegue senza pensarci, è questa la sua grandezza, e la sua carica morale, argomentava Bousquet: “Il soldato che attacca è parte della grande battaglia che con stupore vede formarsi, il suo dovere è la sua immaginazione, egli ne è preda e non può disporre di sé. Parlare con un moribondo lo riporta a se stesso e decompone la volontà che l’evento aveva generato in lui. Non è più parte dell’impresa. La pietà, la paura fanno nascere una coscienza. A un uomo che ha da temere solo la morte, non si deve imporre la visione dell’agonia”. Niente logica in guerra, niente spiegazioni, solo fede.
Simone Weil conveniva con Bousquet: “La guerra è l’irrealtà stessa”. Ma, aggiungeva, “conoscere la realtà della guerra è armonia pitagorica, unità dei contrari, è la pienezza della conoscenza del reale”. La guerra argomentando come una forma del sacro.
Non la logica Amico\Nemico, ma il suo modo d’essere: implica una tridimensionalità, benché minima, che turba gli assetti. È qui il senso vero della politica come chiesa: la politica come guerra. Che oggi si combatte con la testa. Con la propaganda e, in campo, con le tattiche: chi mette in gioco se stesso ne deriva autorità morale e valore bellico, seppure perdente. È il recupero a fini bellici della potenza creativa della fede. La quale non è che immaginazione: la fede è grande creatrice, nei mistici come nel fante straccione napoleonico.

Memoria - “Aveva così cattiva memoria che si dimenticò che aveva cattiva memoria e si ricordò tutto” è un aforisma (greguerìa) di Ramon Gomez de la Serna. Ma la memoria è inaffidabile – maliziosa anche.

Omosessualità – Ritorna, esaurita la liberazione o parità, nell’ambito del narcisismo. Soddisfacente, esaustivo, positivo se vissuto nelle forme dell’amicizia-convivenza amorosa, insoddisfacente se rinchiuso in quella sessuale. Del narcisismo nella forma del sé medesimo. O della “confusione” cui  René Girard accenna tra il “desiderio dello stesso” e il “desiderio del diverso”. Pur protestando (“Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo”) una “falsa differenza tra l’erotismo omosessuale e l’erotismo eterosessuale”.
Anche nell’erotismo eterosessuale, è l’argomento di Girard Jean-MichelOughourlian e Guy Lefort,   si può discernere una componente omosessuale: “I partner dei due sessi vi giocano, l’uno per l’altro, il ruolo di modello e di rivale tanto quanto di oggetto”. Con l’esempio poi classico di Proust: “La metamorfosi dell’oggetto eterosessuale in rivale produce effetti molto analoghi alla metamorfosi del rivale in oggetto. È su questo parallelismo che si basa Proust per pensare che si può trascrivere un’esperienza omosessuale in termini eterosessuali, senza tradire la verità dell’uno o dell’altro desiderio. È lui, è evidente, che ha ragione contro tutti quelli che, sia per esecrarlo sia al contrario per esaltarlo, vorrebbero fare dell’omosessualità una specie di essenza”. Nell’accoppiamento omosessuale si vive la differenza, ma in un eros dominato dal desiderio della somiglianza-identità.
Narcisismo è concetto recente, freudiano, ma mitografia antica, originaria.

Gay è termine storicizzabile, di Filadelfia, primi anni 1950, con una dimensione militante. L’atto di nascita del movimento si fa ascendere al saggio “The Furtive Fraternity” pubblicato da Gaeton Fonzi sul mensile “Philadelphia”, sulla comunità “gay” della città. Il mondo omosessuale si distingue dal movimento gay, dei diritti.
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Opinione pubblica – È passiva, catatonica. Ha bisogno di stimoli per svegliarsi, e per indirizzarsi. Di maestri e di prontuari.
Può reagire imprevedibile a uno stimolo, ma anche allora seguendo altre tracce segnate. Non mai in autonomia.

Orrore delle cose – Sindrome probabilmente comune, ma misconosciuta. Borges la denuncia di Chesterston:  “La sua opera, contro la sua volontà, lo testimonia: paragona le piante di un giardino ad animali incatenati, il marmo a una luce lunare solidificata, l’oro a un rogo congelato e la notte a una nube più vasta del mondo e a un mostro fatto di occhi”. Ma in chiave in tutta evidenza  autoreferente. Anche Savinio mostra in molti frammenti l’orrore degli oggetti, che figura animati, mobili, invadenti.

Puritanesimo – È l’avvocato del peccato, benché ne sia – si atteggi, si mostri – pubblico accusatore. Di tutti i peccati possibili, essendo all’origine il peccato per eccellenza, dell’orgoglio.
Il puritano assolutizza il peccato. Lo erige, lo monumentalizza. E alla fine se ne fa invadere e abbattere. È un distruttore, non un conservatore.

Raro è il caso di Karen Blixen, “Il pranzo di Babette” (festino in realtà), che si vuole ironico e a lieto fine – il buon cibo non fa male all’anima. Il puritano non può nutrire sentimenti: inclinazioni, passioni, semplici desideri. È quindi retrattile, in questa vigile crescente rinuncia. Fino all’isolamento e allo spegnimento, per un atto di orgoglio. Insensato per di più.

zeulig@antiit.eu

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