Conoscere e capire –
Due funzioni diverse - soprattutto se riguardano la Germania: è l’argomento principale
degli scritti dispersi di Joseph Roth raccolti nella silloge “Al bistrot dopo
mezzanotte”. Di fatto una testimonianza francofila (occidentale) e antitedesca,
una presa di coscienza e una denuncia. Dei germanisti oltre che della loro
Germania “mitica”.
La distinzione
viene nella nota “Il nemico storico”, dedicata a Clemenceau. Ma dopo un
devastante “Il mito dell’anima tedesca”, in cui Roth fa i conti direttamente
con i germanisti. E interviene a proposito della Germania bismarckiana del 1870
guglielmina del 1914, e di Clemenceau, che sempre le si oppose, radicale, perché
la “capiva”, ne capiva la natura: “Era il solo politico e statista francese che
avesse capito i Tedeschi – i Tedeschi
nuovi, borussificati, conosciuti
forse li avevano anche altri…”.
La
differenza è rilevabile in due modi: “In Occidente è scontato dire di
«conoscere un paese e il suo popolo» quando se ne sia studiato la lingua, si
sia vissuto nelle sue città, se ne siano percorsi i villaggi, i boschi e le
strade, e si sia abbia avuto modo di parlare con il maggior numero possibile di
persone dei ceti più diversi. Invece si scopre che presso alcuni popoli le
abitudini, i costumi, le forme statali, politiche e sociali cambiano con una
frequenza tale per cui un straniero, tornando dopo cinque anni nel paese che pensava
di avere studiato a fondo, è costretto a ricominciare da capo”. La comprensione
è di altro tipo che la conoscenza, va alla radice della cose. Anche solo per
intuito.
La
conoscenza è importante ma non risolutiva: “La maggior parte di coloro che
intraprendono viaggi di studio vedono di un popolo solo quelle peculiarità che,
per antica tradizione, sono considerate i suoi caratteri distintivi: lingua,
abbigliamento, usi, paesaggio. Tutto questo vale, anche se solo
approssimativamente, in paesi che hanno un carattere stabile, una forza
ostinata, uno sviluppo coerente una
grande libertà di organizzare in modo individuale la propria vita”. Non nel
caso della “Germania borussa”. Che fa aggio su questo desiderio di “conoscenza”
– vogliono una Germania “mitica” (eddiana, faustiana, bayreuthiana), diamogli
una Germania mitica.
Femminismo – Il fondamento più saldo trova nei
vangeli apocrifi. E nella “Pistis Sophia”. Dove si persegue – con insistenza – l’annullamento
della dualità di genere. Si torna nel Regno dopo aver eliminato la dualità, “sicché
non vi sia più né maschio né femmina” (“Vangelo di Tommaso”, 22). La divisione maschio-femmina
origina la morte: “La morte sopravvenne allorché la donna fu separata da lui
(da Adamo). Se rientra in lui, e se egli la prende in sé, la morte non ci sarà
più” (“Vangelo di Filippo”, 68,20). Ma, allora, a prezzo della sterilità.
Le Marie sono
“più perfette” negli apocrifi essenzialmente perché androgine. Elette in quanto
oltrepassano l’uomo, e lo oltrepassano componendo lo sdoppiamento
maschio-femmina nell’uno. Con l’assunzione letterale dell’invettiva di Gesù
sulla via del Calvario alle donne di Gerusalemme: “Verrà un giorno in cui si
dirà: beate le sterili e i grembi che
non hanno generato”. Il femminismo si esprime nella verginità – e la realizza.
Il cuore della sophia della donna, e la
creazione spirituale, è questa verginità, il segno divino. Che l’androginia
esprime e realizza.
Il femminismo si
esprime nell’annullamento della propria specificità, del proprio essere. Non si
impone la donna all’uomo, sia pure nella eguaglianza dei diritti, si rinuncia
all’essere donna – come si nega l’essere uomo. L’abolizione dei generi, come di
ogni particolarità, di ogni specificità, è un’autoabolizione.
Heidegger – È l’intellettuale post-bellico, al
modo di Gadda, Céline, Jünger, Ernst von Salomon, in parte anche Musil – il “figlio” frastornato-confuso della Grande
Guerra (la “Guerra dei Trent’ani”, la guerra civile europea, dal 1870 al 1945).
La prima guerra mondiale lo ha marchiato ai – gli ha rubato i vent’anni. Vive
il dopoguerra da estraneo, alla “meccanizzazione!”, alla “stupida tecnica”. Una
voragine specialmente sentita dagli intellettuali ebrei austriaci, più esterni
alla frattura in atto dal 1870, J. Roth, S. Zweig – in parte anche Canetti.,
Schulz. Una prospettiva di lettura e una contestualizzazione andrebbero operate
in questo senso.
Heidegger
andrebbe comunque storicizzato. Fu nazista “come tutti” in Germania, specie gli
apolitici. Molti intellettuali non lo furono, anche tra i conservatori (Thomas
Mann per tutti), ma era parte di un mondo intellettuale: Heidegger era un
isolato. Anche questo aspetto andrebbe analizzato: era un outsider, non ce n’è uno si può dire più di lui.
Heidegger resta
sempre un provinciale. Anche quando fu “riconosciuto”, in Italia, in Germania,
poi in Francia. Rifiuterà Berlino. Anche Monaco. Non saprà che dire a
interlocutori illustri e di spessore, Celan, lo stesso Char malgrado l’amicizia
agreste. Fu sempre legato al localismo, alemanno, svevo, hebeliano. Il vero test dell’antisemitismo di Heidegger lo
avrà fatto Hannah Arendt, la volpe che per tana si costruisce una trappola. I
“Quaderni neri” non sono antisemiti come hanno voluto gli stessi editori
(Donatella Di Cesare), se non per lo stigma del cosmopolitismo, ingiuria
suprema per il filosofo.
Medio
Evo – Si rappresenta, per le
spesse stratificazione imposte dall’Umanesimo, dal ritorno ai codici e ai
classici, quale mondo di ingenuità e ignoranza. L’assioma stereotipo è quello
di Joseph Roth, che pure conosceva il Medio Evo e lo amava, a Les Baux,
all’aria cristallina di montagna: “Non c’è bisogno di essere un ingenuo
cavaliere del Medioevo per credere di essere passati in sogno attraverso una
parete di vetro”. Perché il cavaliere del medioevo sarebbe stato ingenuo? E non
sognava, pure lui? Un Medioevo “ingenuo” ma già “problematico” – lo stesso Roth
ne avverte la sostanza,: “tragico” anzi, più che “problematico”.
Odio – È dei santi? Più della misericordia, e
come si concilia? Per il cristiano sì – Luca, 14, 16: “Se uno viene a me e non
odia il padre e la madre, la moglie e i figli e i fratelli e le sorelle, ed
anche la sua vita, non può diventare mio
discepolo”.
Il verbo non è
equivoco: misein, odiare.
Storia – Non si fa più – la storiografia. Sull’esempio
degli Stati Uniti che ne hanno fatta poca e a malincuore, e dal dopoguerra non
più?
Spadolini (“Giolitti
e i cattolici”, “Il papato socialista”, “L’opposizione cattolica d a Porta Pia
al ‘14”), per dire, aveva già fatto la storia del giolittismo, sui documenti,
cinquant’anni dopo i fatti. La storia del fascismo si è fatta, abbastanza, fino
agli anni 1970. Soprattutto sui memoir.
Poi solo per generi, e specialisti. Della Repubblica, che ha fatto settanta e
più anni, non sappiamo niente, se non per memoria personale.
zeulig@antiit.eu
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