Un romanzo pretenzioso, con cui Bompiani - cui il romanzo è dedicato - volle consacrare Piovene
alla fine con lo Strega 1970, più noioso che non. Preceduto in questa
riedizione da un lutulento saggio di Andrea Zanzotto. Che, solitamente misurato
e illuminante, fa dell’ultima fatica del conterraneo il romanzo del Tutto:
analitico, buddista, giallo, fantascientifico, proprio, alla Dick, poetico, dantesco,
simbolico. Un saggio modellato sulla sarchiatura perenne della psicoanalisi fa,
con tanto di “inifinitudine”, di “aggressività dell’inesistente”, e
naturalmente di “buchi neri”, e di Narciso. Cosa non fa la solidarietà tribale?
Un romanzo giallo alla Dürrenmatt, alla Handke, alla Robbe-Grillet
(Zanzotto), metafisico? O la storia del letterato disgustato della letteratura,
“di Shakespeare, di Omero, dei tragici gerci” – di cui peraltro vede solo “le larve”?
In un mondo sorpreso “dall’avvento delle stelle fredde”. “Hai mai visto una
mosca”, chiede il personaggio-narratore al suo medico, “quando ronza furente
perché il freddo la fa morire? Lo stesso loro, i caratteri, i personaggi, i morali,
i fanatici, i missionari, i predicanti, i passionali, i credenti, i sinceri.
Orribilmente falsi. Orribilmente ebeti. Orribilmente spettri. Disgustosamente parlanti.
Mi ripugnano e io ripugno a loro”. Una professione di misantropia, che si
direbbe chiuda il racconto. E invece lo apre: la p. 6, la quarta del romanzo, è
un distillato dello sradicamento analitico. Un ritorno, a memorie morte. Un viaggio
a ritroso, in un aldilà che è l’universo proprio, rimosso. Zanzotto trova che
“di rapimenti danteschi echeggia tutta l’opera”. Ma il viaggio è scettico, non
di fede, attraverso l’ironia.
“Opera di poesia”, lo dice ancora Zanzotto, “Piovene si abbandona alla
poesia”. E “del fantastic nelle
manipolazioni fantascientifiche”. Con una notazione però interessante: “Il fantastic nella tradizione veneta ha un
notevole rilievo (e solo per Vicenza” , la città di Piovene, “basterebbe
ricordare il primo Fogazzaro e il primo Parise)”.
Il romanzo si presenta in forma di giallo: succedono cose di cui non
ci viene fornita la chiave. Con un padre censore, e poi un poliziotto filosofo. Come
sempre in Piovene pieno-ricco di rimorsi: ossessioni, follie, la
depersonalizzazione, l’alterazione delle percezioni - il protagonista-narratore
si presenta sofferente, giovane, di ipoacusia, che eleva a “sordità differenziata”,
anche di sé.
Zanzotto lo dice anche un ritorno narcissico,
“impossibile\necessario”, che poi è la cifra di Piovene, “che genera sensi di
colpa”: “Egli sa”, scrive Zanzotto probabilmente prima dell’ondata di selfie compiaciuti, “che oggi non si può
ripiegare senza colpa su stati analoghi alle infanzie «paradisiache», come si
credette nel primo ‘900”. Ma si può invertire l’ordine: sensi di colpa, seppure
generici, provocano il ritorno narcissico.
Una narrazione psicoanalitica – un genere che si potrebbe anch’esso
elevare a dato tribale, ricomprendendovi Svevo, Berto, e lo stesso Zanzotto. Del rimosso dell’io intrattabile.
Imperturbabile, dietro le schermaglie, di cui si fa corazza, impositivo.
Irrelazionale. Un blocco. Il protagonista narratore si compiange come morto
vivente. Ma allora di quelli “repubblicani” nella rivoluzione francese, che si legavano
a un condannato per annegarlo senza sforzo. Un blocco solidifcato, dietro la
presunta ricerca: il mondo è freddo perché l’io è freddo. Fredda è anche la
memoria reale, dell’esistenza e non del rimosso. La “tecnica d’eliminazione”
che il narratore dice di applicare a se stesso è una paratia che alza contro il
mondo. Come uno di quegli “insetti che vogliono sfuggire a chi li guarda rimanendo
immobile e facendo il morto”. Facendo il morto come in analisi, fuori dal
mondo, in una sottile robusta paranoia, che la cura perpetua, ingualcibile. E
insomma, che vorrà dire? “I dolori più forti sono quelli che non si sentono”?
Tra le sorprese c’è il ritorno di Dostoesvskij, l’altro da sé, sulla
terra. Insoddisfatto dell’aldilà – dell’eternità. Cui Piovene confida un lunghissimo
racconto della vita ultraterrena. Al modo di Dostoevskij, ma noioso – una
trentina di pagine, purtroppo.
Un brutto romanzo, ma una testimonianza, involontaria
Guido Piovene, Le stelle fredde, Bompiani, pp. XXVIII + 200 € 12
Nessun commento:
Posta un commento