L’uomo che s’ingroppa la donna, la donna che fa becco l’uomo, è Boccaccio, Aretino, Carlo Porta, e già Aristofane, ma non è tutto ed è uno svago, per scherzo e divertimento, niente disuguaglianze.
L’argomento è questo: il mito della
bellezza “non è basato sull’evoluzione, il sesso, il genere, l’estetica, o
Dio”. E non è quello che pretende di essere, “sull’intimità, il sesso e la
vita, una celebrazione della donna”. Al
contrario: “Il mito della bellezza non riguarda affatto le donne. Riguarda le
istituzioni e il potere istituzionale maschile”. Che, prendendo questa
insorgenza del linguaggio sul serio, non vuole dire niente – vorrebbe dire che
è l’uomo che fa le regole della bellezza, cui la donna deve assuefarsi..
In forma ridotta, per fortuna, e con una
nuova prefazione, che fa stato di un superamento, di nuove ondate femministe,
ma sempre con i cliché di un tempo, della
donna ridotta a pin-up, Naomi Wolf ripropone
il suo classico del 1991, da esordiente di grande successo non ancora
trentenne. Si sarebbe detto questo discorso perento. Se non altro per l’insorgenza
e la moltiplicazione dei generi, se non per l’esaurimento della spinta egualitaria.
È un linguaggio residuo, che evidentemente ancora “incontra”. Ma incontrano
anche Di Maio e Salvini. Né compensano le frasi a effetto. Il mito della
bellezza è la vergine di Norimberga (Iron Maiden in inglese), lo strumento di
tortura. E “Is health healthful?”,
quanto la sanità è salutifera? O il PQB: sulle sigle anglo-americane in uso per le occupazioni necessariamente di genere
(donare il seme non può che essere che un “lavoro” maschile, etc.) costruisce
un PQB, Professional Beauty Qualification, che servirebbe per discriminare le
donne al lavoro: sole le “belle” fanno carriera. Dove, quando?
Sul percorso, questo discorso si perde
l’uomo, che bene o male è l’altra metà del cielo – due quinti dopo la moltiplicazione
delle guerre? E nel percorso di conquista (liberazione) stringe piuttosto
mosche. Molto americano di fatto, questo “mito della bellezza”, come già la
“mistica femminile” di Betty Friedan. Della middle-class
suburbana, della mogliettina-mamma scema, già analizzata da Friedan, eletta qui
a “middle-class Western woman”. Cha
sarà stata vera, ancora Del Toro ne fa la satira con successo in “La forma
dell’acqua”, ma non è occidentale, ed è stata raccontata anche diversamente.
Una rassegna datata peraltro già quando
fu lanciata. Nel frattempo Noemi Wolf si è rilanciata best-sellerista con
“Vagina. Una storia culturale” (“A new biography” in originale), in cui scopre
che una lunga serie di ottime scrittrici se la godevano anche a letto. Tra le tante, George Eliot, Christina Rossetti, Edith Wharton, Georgia O’Keeffe, Emma Goldman, Kate Chopin, Getrdue Stein - ma forse ha fatto poche letture. Dopo avere provato a rinverdire il blasone, nel lungo intervallo, come vittima di molestia sessuale da parte di Harold
Bloom e dell’università di Yale – cui deve la carriera universitaria (ma Yale
ha resistito alle ingiunzioni di accendere i roghi, e Bloom, accusato di averle
toccata la coscia, ha potuto dire di conoscerla solo come rompicogliona).
Il femminismo dice alla quarta o quinta
ondata. Ma non rinuncia alla terza, che lei segnò, dice, col “mito della bellezza”,
Inventato, dagli uomini, per il business:
cosmetico, dietologico, e della chirurgia estetica, e per singolarizzare il movimento,
frantumarlo, “su base individuale, credo insicurezza e disagio in ognuna delle
donne”. Ingegnoso, come tutto, ma a che pro?
La conclusione è la novità iniziale,
parole e opera di rara modestia: “Molte donne sentono che il progresso collettivo
femminile è in stallo; paragonato con la spinta vigorosa dei primi giorni, c’è
uno scoraggiato clima di confusione, divisione, cinismo e, soprattutto, esaurimento”.
Tra le giovani e le meno giovani: “Dopo anni di molte lotte e pochi
riconoscimenti, molte donne in età si sentono consumate. Dopo aver dato per
anni la luce per garantita, molte donne giovani mostrano scarso intresse ad
aggiungere fuoco alla torcia”. Opera dell’uomo? Un po’ confuse, la cosa e la
scrittura. La conclusione così seguita: “Nell’ultima decade”, gli anni 1990,
“le donne hanno intaccato la struttura di potere; nello stesso tempo i disordini
alimentari”, anoressia e bulimia, “sono cresciuti esponenzialmente, e la chirurgia
estetica è divenuta la specialità medica a più rapida crescita”. La liberazione
è compiuta, giuridicamente e socialmente, anche economicamente, ma “in termini di
come ci sentiamo fisicamente,
potremmo di fatto stare peggio delle nostre non liberate nonne”.
Una conclusione che però non sovverte la
parte inconsistente del femminismo, di maniera o delle frasi fatte. Curiosa figura, questa della beghina del femminismo.
Naomi Wolf, The Beauty Myth, Vintage Classics, pp. 110 € 5,60
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