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mercoledì 7 marzo 2018

il mondo com'è (335)

astolfo

Machiavelli – Il “machiavellismo” è proprio di personalità “machiavelliche”. Di François Mitterrand da ultimo. Il caso più evidente e celebre è il grande re della Prussia, Federico II. Che nel 1740 pubblicava un trattato “Anti-Machiavelli”, per dirne male. L’immoralità, eccetera. E subito dopo, nello stesso anno, occupava la Slesia, col dolo, la prima delle guerre col trucco che farà a Maria Teresa d’Austria. La cosa allentò il legame del re di Prussia con Voltaire. La stessa pubblicazione dell’“Anti-Machiavelli” fu molto tortuosa. Ne pubblicò due versioni, in francese (il re di Prussia scriveva in francese), quasi contemporaneamente, a fine settembre 1740. “L’Examen du Prince de Machiavel”, anonimo, all’Aja con l’editore van Duren e a Londra con Meyer.  E “L’Anti-Machiavel, our Essai de Critique sur le Prince de Machiavel”, curatore Voltaire, all’Aja presso Paupie, a Bruxelles presso Foppens, e a Copenhagen presso Preuss. Voltaire figurava revisore in quanto rivedeva i testi del re di Prussia. Ne migliorava il francese, e gli evitava polemiche in necessarie e inimicizie con gli altri potentati. Lo aveva fatto per altre produzioni regali, specie poetiche, e lo fece per l’“Anti-Machiavelli”. Tre mesi dopo ci fu l’attacco proditorio sulla Slesia, che spiacque a Voltaire. I rapporti, prima strettissimi, si interruppero per cinque anni, e poi non furono più gli stessi di prima.

Medio Evo – Nonché epoca di grande capacità e sviluppo intellettuale, contrariamente alla presunzione volgare di ignoranza che lo avvolge,

fu l’epoca in cui si plasmarono le istituzioni moderne, fino al concetto di Stato, e l’economia che ancora oggi ci governa. L’economia finanziaria di oggi più che l’industrializzazione risale al Medio Evo, a fiere e mercanti. Mentre l’idea di proprietà si lega, oltre che ai feudi e alle castellanie, ai grandi conventi, gestiti con criteri manageriali. Un Benediktbeuern sotto Garmisch sulle Alpi bavaresi aveva possedimenti da piccolo stato, fino al Lombardo-Veneto. O Padula nel salernitano. Non senza apparato dottrinale, da sant’Ambrogio a Calvino.
Per l’economia valga la sintesi che Amedeo Feniello traccia su “La lettura”, presentando l’edizione francese di Giacomo Todeschini, “I mercanti e il tempo”, la vasta ricerca sull’economia del Medio Evo pubblicata nel 2002: “Un progetto”, non un evento casuale, “che si sviluppa lungo tanti tracciati. Le idee di avere, di possesso, di scambio, di consumo, di dono, di accumulazione, di indennizzo, di investimento, di industria, di bene comune, sono tutti retaggi del pensiero medievale, cui contribuirono personaggi straordinari, come i grandi papi Gregorio VUII e Innocenzo III, o intellettuali di peso sorprendente”, Bernardo di Chiaravalle, Pier Damiani,Tommaso d’Aquino, Ruperto di Deutz, Pier di Giovanni Ulivi, e altri. Che non è avocazione da medievisti – ogni specialista vorrebbe tutto per sé, per l’epoca di cui è appassionato – ma un dato storico, corroborato da ricerche ormai numerose, di cui “I mercati e il tempio” è epitome.
Un dato che Thomas Piketty sintetizza nel titolo della prefazione all’edizione francese, come “Il capitale cristiano”. Con un progetto di organizzazione politica e sociale, dietro le nuove norme, i canoni, le misure, la certificazione notarile degli atti, a regolamento dell’economia. In un progetto, va aggiunto, di sviluppo: il regolamento si dispone in previsione e nell’auspicio di una moltiplicazione dell’attività. Nel quadro più vasto della mobilità sociale, che la chiesa ha introdotto nella sua propria specifica organizzazione, in cui le capacità (intellettuali, organizzative, d’innovazione) contano e non il censo o il potere precostituito.  

L’innovazione politica è già stata oggetto di studi. Che Alessandro Passerin d’Entrèves e poi Hannah Arendt hanno elevato a dignità nel dibattito storico, seppure in forma riassuntiva. Il succo è questo, che tutti i concetti e le pratiche della moderna politica sono stati elaborati dalla chiesa, nei secoli del dominio ecclesiastico: la mobilità, la rappresentanza, l’assemblea, la cooptazione, il governo assembleare. Nel quadro di un merito più vasto che H.Arendt attribuisce alla chiesa, di avere riorientato la filosofia verso la politica, il mondo com’è.
La sovranità, l’Auctoritas, da lui recuperata a fondamento dello Stato, Alessandro Passerin d’Entrèves dice chiesastica, e base della libertà. Un concetto ripreso da H. Arendt – ma già elaborato da Hobbes, cristiano critico. Ne viene la nazione: la famiglia di storia, lingua, modo d’essere. La patria che è la forza, accanto alla religione. Che entrambe hanno Dio con sé - la Provvidenza, si diceva nell’Ottocento.
Attribuzione analoga fa Popper per i “valori”: la compassione, la libertà, l’uguaglianza..

Razza - Si disse che le donne nobili a Venezia fossero una razza a parte. Povero Kant, lo disse il Baffo, che ne apprezzava scurrile le grazie, e il filosofo la bevve. E che le duegne di Tahiti fossero più grandi degli uomini. Questa sarebbe piaciuta al cavaliere di Brantôme, aedo delle donne abbondanti.
Fra Nord e Sud, anche fra Est e Ovest, la cultura a lungo è stata familiare, una partenogenesi da contatto e contiguità. Gli Eraclidi finivano in convento, nella storie di Taide la cortigiana, là dove Alessandro Magno aveva dormito – favolelli medievali, ma di un genere che non sorprendeva. Né il nero faceva paura né il semita. L’umanità su basi zoologiche, come “L’Osservatore Romano” la bollò nei coraggiosi anni Trenta, fu tema del Settecento, che volle farne una scienza: i neri non lavorano, sposereste una nera, i neri puzzano, per non dire degli ebrei, impossibile rifare Voltaire, li mise a punto il secolo dei Lumi, compreso Kant, malgrado la nota prudenza - Kant non sognava, e non sudava, ci stava bene attento, così pure a sputare e, pare, a eiaculare, per non sprecare energie. 
La scienza forniva l’università Georgia Augusta, nel 1734 fondata da Giorgio II, Elettore di Hannover e Re d’Inghilterra, per fare la classifica delle razze. Primi per obbligo statutario i sassoni, i popoli del re.
Contro la nuova scienza si batterà a vuoto il conte Gobineau, “geologo morale” di una “geografia umana profondamente varia”. Anticipatore del darwinismo, che è misgenetista e non esclusivo, selettivo ma non gerarchico - è descrittivo. Prendendo infine atto che “l’etnologia ha bisogno di sfogarsi prima di divenire seria”. Il conte, democratico e anzi progressista, ambiva alla storia del particolare, “in quei giorni d’infantile passione per l’uguaglianza” - mai appassionata abbastanza e purtroppo sempre infantile, anche presso i detrattori.

La marcia della storia verso il Nord ha quasi tre secoli e non è finita, un fronte imponente ne fa mito duraturo.
La scoperta del sanscrito, Hegel dice, fu “nell’ordine dei fatti” importante come la scoperta dell’America. Alimenta infatti il business filologico, illimitato, col concetto, “alquanto indeterminato” per De Gubernatis, “dell’unità dei popoli un tempo chi-mati giapetici”. La tribù dei bianchi, non inutile se non avesse promosso tante guerre in famiglia. Il sanscrito “fece anche di più”, notava un  secolo e mezzo fa, poco meno, lo stesso De Gubernatis, Angelo, il linguista e orientalista a torto dimenticato: all’uomo che, “gravato dall’incubo scolastico della rivelazione, domandava i segreti del linguaggio”, mostrò la “sorellanza delle lingue”. Le caucasiche. E, “dimostrando la comunanza d’origine del linguaggio col mito”, unificò i miti. Da qui gli dei pallidi di Scandinavia e Germania.

astolfo@antiit.eu

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