Machiavelli – Il “machiavellismo” è proprio di personalità “machiavelliche”. Di François Mitterrand da ultimo. Il caso più evidente e celebre è il grande re della Prussia, Federico II. Che nel 1740 pubblicava un trattato “Anti-Machiavelli”, per dirne male. L’immoralità, eccetera. E subito dopo, nello stesso anno, occupava la Slesia, col dolo, la prima delle guerre col trucco che farà a Maria Teresa d’Austria. La cosa allentò il legame del re di Prussia con Voltaire. La stessa pubblicazione dell’“Anti-Machiavelli” fu molto tortuosa. Ne pubblicò due versioni, in francese (il re di Prussia scriveva in francese), quasi contemporaneamente, a fine settembre 1740. “L’Examen du Prince de Machiavel”, anonimo, all’Aja con l’editore van Duren e a Londra con Meyer. E “L’Anti-Machiavel, our Essai de Critique sur le Prince de Machiavel”, curatore Voltaire, all’Aja presso Paupie, a Bruxelles presso Foppens, e a Copenhagen presso Preuss. Voltaire figurava revisore in quanto rivedeva i testi del re di Prussia. Ne migliorava il francese, e gli evitava polemiche in necessarie e inimicizie con gli altri potentati. Lo aveva fatto per altre produzioni regali, specie poetiche, e lo fece per l’“Anti-Machiavelli”. Tre mesi dopo ci fu l’attacco proditorio sulla Slesia, che spiacque a Voltaire. I rapporti, prima strettissimi, si interruppero per cinque anni, e poi non furono più gli stessi di prima.
Medio Evo – Nonché epoca
di grande capacità e sviluppo intellettuale, contrariamente alla presunzione volgare
di ignoranza che lo avvolge,
fu
l’epoca in cui si plasmarono le istituzioni moderne, fino al concetto di Stato,
e l’economia che ancora oggi ci governa. L’economia finanziaria di oggi più che
l’industrializzazione risale al Medio Evo, a fiere e mercanti. Mentre l’idea di
proprietà si lega, oltre che ai feudi e alle castellanie, ai grandi conventi, gestiti
con criteri manageriali. Un Benediktbeuern sotto Garmisch sulle Alpi bavaresi aveva
possedimenti da piccolo stato, fino al Lombardo-Veneto. O Padula nel
salernitano. Non senza apparato dottrinale, da sant’Ambrogio a Calvino.
Per
l’economia valga la sintesi che Amedeo Feniello traccia su “La lettura”, presentando
l’edizione francese di Giacomo Todeschini, “I mercanti e il tempo”, la vasta
ricerca sull’economia del Medio Evo pubblicata nel 2002: “Un progetto”, non un
evento casuale, “che si sviluppa lungo tanti tracciati. Le idee di avere, di
possesso, di scambio, di consumo, di dono, di accumulazione, di indennizzo, di
investimento, di industria, di bene comune, sono tutti retaggi del pensiero
medievale, cui contribuirono personaggi straordinari, come i grandi papi
Gregorio VUII e Innocenzo III, o intellettuali di peso sorprendente”, Bernardo
di Chiaravalle, Pier Damiani,Tommaso d’Aquino, Ruperto di Deutz, Pier di
Giovanni Ulivi, e altri. Che non è avocazione da medievisti – ogni specialista
vorrebbe tutto per sé, per l’epoca di cui è appassionato – ma un dato storico,
corroborato da ricerche ormai numerose, di cui “I mercati e il tempio” è
epitome.
Un
dato che Thomas Piketty sintetizza nel titolo della prefazione all’edizione
francese, come “Il capitale cristiano”. Con un progetto di organizzazione
politica e sociale, dietro le nuove norme, i canoni, le misure, la
certificazione notarile degli atti, a regolamento dell’economia. In un progetto,
va aggiunto, di sviluppo: il regolamento si dispone in previsione e nell’auspicio
di una moltiplicazione dell’attività. Nel quadro più vasto della mobilità
sociale, che la chiesa ha introdotto nella sua propria specifica organizzazione,
in cui le capacità (intellettuali, organizzative, d’innovazione) contano e non
il censo o il potere precostituito.
L’innovazione
politica è già stata oggetto di studi. Che Alessandro Passerin d’Entrèves e poi
Hannah Arendt hanno elevato a dignità nel dibattito storico, seppure in forma
riassuntiva. Il succo è questo, che tutti i concetti e le pratiche della
moderna politica sono stati elaborati dalla chiesa, nei secoli del dominio
ecclesiastico: la mobilità, la rappresentanza, l’assemblea, la cooptazione, il governo
assembleare. Nel quadro di un merito più vasto che H.Arendt attribuisce alla
chiesa, di avere riorientato la filosofia verso la
politica, il mondo com’è.
La sovranità, l’Auctoritas, da lui
recuperata a fondamento dello Stato, Alessandro Passerin d’Entrèves dice
chiesastica, e base della libertà. Un concetto ripreso da H. Arendt – ma già
elaborato da Hobbes, cristiano critico. Ne viene la nazione: la famiglia di
storia, lingua, modo d’essere. La patria che è la forza, accanto alla religione.
Che entrambe hanno Dio con sé - la Provvidenza, si diceva nell’Ottocento.
Attribuzione analoga fa Popper per i “valori”:
la compassione, la libertà, l’uguaglianza..
Razza - Si
disse che le donne nobili a Venezia fossero una razza a parte. Povero Kant, lo
disse il Baffo, che ne apprezzava scurrile le grazie, e il filosofo la bevve. E
che le duegne di Tahiti fossero più grandi degli uomini. Questa sarebbe
piaciuta al cavaliere di Brantôme, aedo delle donne abbondanti.
Fra Nord
e Sud, anche fra Est e Ovest, la cultura a lungo è stata familiare, una
partenogenesi da contatto e contiguità. Gli Eraclidi finivano in convento,
nella storie di Taide la cortigiana, là dove Alessandro Magno aveva dormito –
favolelli medievali, ma di un genere che non sorprendeva. Né il nero faceva
paura né il semita. L’umanità su basi zoologiche, come “L’Osservatore Romano”
la bollò nei coraggiosi anni Trenta, fu tema del Settecento, che volle farne
una scienza: i neri non lavorano, sposereste una nera, i neri puzzano, per non
dire degli ebrei, impossibile rifare Voltaire, li mise a punto il secolo dei Lumi,
compreso Kant, malgrado la nota prudenza - Kant non sognava, e non sudava, ci stava bene
attento, così pure a sputare e, pare, a eiaculare, per non sprecare
energie.
La scienza forniva l’università Georgia
Augusta, nel 1734 fondata da Giorgio II, Elettore di Hannover e Re d’Inghilterra,
per fare la classifica delle razze. Primi per obbligo statutario i sassoni, i
popoli del re.
Contro la nuova scienza si batterà a vuoto
il conte Gobineau, “geologo morale” di una “geografia umana profondamente
varia”. Anticipatore del darwinismo, che è misgenetista e non esclusivo,
selettivo ma non gerarchico - è descrittivo. Prendendo infine atto che
“l’etnologia ha bisogno di sfogarsi prima di divenire seria”. Il conte,
democratico e anzi progressista, ambiva alla storia del particolare, “in quei
giorni d’infantile passione per l’uguaglianza” - mai appassionata abbastanza e
purtroppo sempre infantile, anche presso i detrattori.
La marcia della storia verso il Nord ha quasi
tre secoli e non è finita, un fronte imponente ne fa mito duraturo.
La
scoperta del sanscrito, Hegel dice, fu “nell’ordine dei fatti” importante come
la scoperta dell’America. Alimenta infatti il business filologico, illimitato, col concetto, “alquanto
indeterminato” per De Gubernatis, “dell’unità dei popoli un tempo chi-mati
giapetici”. La tribù dei bianchi, non inutile se non avesse promosso tante
guerre in famiglia. Il sanscrito “fece anche di più”, notava un secolo e mezzo fa, poco meno, lo stesso De
Gubernatis, Angelo, il linguista e orientalista a torto dimenticato: all’uomo
che, “gravato dall’incubo scolastico della rivelazione, domandava i segreti del
linguaggio”, mostrò la “sorellanza delle lingue”. Le caucasiche. E,
“dimostrando la comunanza d’origine del linguaggio col mito”, unificò i miti.
Da qui gli dei pallidi di Scandinavia e Germania.
astolfo@antiit.eu
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