venerdì 23 marzo 2018

Immagini di felicità

Un film sulle immagini – immagini dell’immagine, di visi e villaggi. Fantasioso e coinvolgente, benché di immagini desunte dalla quotidianità -  più spesso dalla derelizione: industrie e paesi in abbandono, lavoratori isolati, persone marginali. Di scene curiose, inventive, realistiche. E semplici. Di un viaggio felice che suscita felicità.
Un po’ di effetti c’è. Agnès Varda parte serena a 88 anni per questa ultima avventura: girare per la Francia, trovare storie e facce da raccontare, raccontarle in breve. Con un fotografo giovane, JR, rinomato artista di strada - che la sua tecnica ha elaborato sulla trasformazione surrealista dei grandi cilindri di un deposito petrolifero in occhi proiettati sul mare, nel primo film di Agnès Varda (e di Philippe Noiret), “La pointe courte”, 1955. Con un caravan attrezzato che da una cabina per fototessere espelle gigantografie, grandi poster da attaccare alle pareti.
Un racconto realistico di un irreale, di cui i quattro occhi dei fotografi (Agnès Varda è e si vuole fotografa, una che racconta per immagini) sanno estrarre momenti palpitanti. Un miracolo, un inno alla letteratura, alla solidità dell’invenzione, oltre che alla cinematografia. Un regalo per gli spettatori, che le immagini coinvolgono senza prevaricazioni, in una serie ininterrotta di emozioni. La felicità dei due vagabondi è contagiosa.
Gli innominati dei piccoli mondi abbandonati che i quattro occhi risuscitano si ritrovano così esilarati e ogni storia finisce in gloria. Ma sempre con misura, nella esaltazione come nelle malinconie. La sua storia stessa, dei tanti acciacchi e dei morti - gli amici di gioventù e di avventure, il marito Jacques (Demy) - e del diniego dispettoso di Godard, Agnès Varda, Oscar alla carriera, precursora della Nouvelle Vague, riporta a pochi momenti, con la giusta misura.
Confinato tra i documentary, non distribuito in nessun circuito – ne ha stampato qualche copia la Cineteca di Bologna. Mentre è il film a soggetto più narrativo della stagione. A meno che non sia adesso questo il futuro del cinema, per pochi spettatori - i blockbuster sono spettacoli da fiera. Con la critica, curiosamente, schierata per le produzioni di massa, di più per le più orride, ai festival e nei loro media - schierata è la parola giusta, come participio passato passivo e non attivo..
Agnés Varda-JR, Visages Villages

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