sabato 24 marzo 2018

L’ambasciatore di Firenze all’osteria

Gradevole narrazione di corna e becchi. Una farcitura di aneddoti, pochi di cose viste, molti di repertorio, tradotti o riscritti – c’è anche una commediola degli equivoci, della ragazza contesa da tre pretendenti e innamorata di un quarto. Con una dotta nota al testo di Marcello Simonetta - un’edizione elegante da bibliofili.
Il “Viaggio” non è granché, oltre questa aneddotica: la Germania è solo nel titolo. Il corrispondente di tante lettere da antologia di Machiavelli era un simpatico narratore, burlone, e poco altro. Molto amato da Manganelli, che lo trova d’ intelligenza “prensile come una mano ben fatta e bene adoperata a toccar cose, a muovere e a formare oggetti”, e questo “Viaggio” dice uno dei rari casi nelle lettere italiane di “piacere secco e ironico del pensiero pulito, senza fumi”, senza i fumi della retorica. Coautore, con Machiavelli, del “più vivace epistolario della letteratura italiana” (Simonetta), di linguaggio libero – Vettori è famoso per avere sostenuto scrivendo a Machiavelli di non conoscere “chosa che dilecti più a pensarvi e a farlo, che il fottere”. Ma non fu per caso se al ritorno dei Medici a Firenze lui ebbe il prestigioso incarico di ambasciatore a Roma, dai papi Medici, mentre il suo grande amico Machiavelli fu torturato e ostracizzato. Come funzionario della segretaria fiorentina non ha spessore, non che ne abbia lasciato traccia. La sua morale è :“Tutto il mondo è ciurmeria”, ribadita in più luoghi. Buona per le storie sollazzevoli.
Qui inviato alla dieta imperiale a Costanza nell’estate del 1507, ambasciatore della Repubblica Fiorentina presso l’imperatore, di cui si subodora una spedizione in Italia contro Venezia, sta ai margini, come se non ci fosse. Non vede nemmeno: di una missione di quasi un anno riferisce di  Nord Italia, Tirolo, Baviera e Svevia senza e senza luoghi, niente altro che osti e osterie. Benché l’imperatore, al cui seguito Vettori deve viaggiare, girasse molto, per le sue cacce beneamate. Non sa il tedesco, non capisce niente un volta passata Trento, e non se ne cura. Inviato al posto di Machiavelli, per beghe cancelleresche, sarà poi raggiunto e sostituito dall’amico. Neanche Machiavelli sapeva di tedesco, ma capisce e scrive molto di più e meglio dell’amico nella mezza dozzina di paginette del suo “Ritracto de le cose della Magna”, che questa preziosa edizioncina collaziona.
Simonetta ci trova “l’immagine di una Germania che rassomiglia, come in uno specchio rovesciato, all’Italia”. No, niente paragoni: in nessuna circostanza c’è il noi e loro. E questo riflette il mondo dell’epoca, che aveva confini (“il fiume del Lavis, di là da Trento cinue miglia, divide l’Italia d’Alamagna”) ma non inimicizie tribali. Sempre, è vero, si parla di Italia e Germania, di mondi diversi anche se non per ordinamento statuale: di lingua, mentalità, usi. Ma non di ostilità su line nazionali. A Innsbruck Vettori trova “tanto concorso d’italiani e massime lombardi” che gli sembra “una delle buone terre d’Italia” – da poco si era staccato dal vescovo di Trento. Nell’unico accenno alla diversità, peraltro, l’ambasciatore fiorentino coglie giusto – ma senza sanzioni: la Germania è protezionista già allora. “Piena di denari”, ma per un motivo, Vettori si fa spiegare da un tedesco: “Perché noi Alamanni abbiamo gran considerazione di curare che del paese non eschino danari per conto alcuno”. Anche delle donne, nell’unico brevissimo accenno: invitato a una cena “più che ordinaria” da “un uomo della terra chiamato Guglielmo”, trova a tavola “la donna non dimestica come in Francia né selvatica come in Italia”. E c’è, già molto apprezzato, il “fiorino di Reno”.
Una testimonianza indiretta di quanto l’Italia non contasse già nel Cinquecento, anche se non lo sapeva. Era indifferente al mondo com’è, o forse incapace di capirlo, di situarsi in esso, sé e i propri interessi, già allora.

Una testimonianza anche, non detta ma nelle cose, della parsimonia della Repubblica Fiorentina, con Vettori come poi, peggio, con Machiavelli, avarizia o pochezza che sia. Lo stesso girovagare per osterie e periferie ne fa fede. Senza lustro né importanza tra i tanti potentati, anche semplici cardinali. La magnificazione politica del Rinascimento andrebbe proporzionata, comparativamente, e ridimensionata.

Francesco Vettori, Viaggio in Germania, Sellerio, remainders, pp. 277 € 6

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