Bellezza –
Il “mito della bellezza”, che certo femminismo ha denunciato a opera del potere
maschile, sull’onda del best-seller di Naomi Wolf, 1991, “The Beauty Myth”, era
già materia di Lautréamont. Che visse solo 24 anni, e nel 1868, con “I canti di
Maldoror”, annunciava la liberazione
della bellezza dalla servitù di dover essere bella. Una bellezza che sapeva
fare uso del kitsch e del comico romantico, sconfinando nel grottesco.
Dante – “Bizantino” lo fa Carlo Ossola (“Viaggio a Maria”), ben più persuasi
amente che il Dante islamico. Sulla
traccia delle immagini bizantine della Madonna, di cui fa tesoro nel “Paradiso”.
Che originavano dalla “Dormitio” di Maria, tema augusto della confessione
ortodossa. Meglio espresse nei mosaici della Martorana a Palermo, secolo XII,
per iniziativa di Giorgio d’Antiochia, “greco ortodosso al servizio di Ruggero
II”. Mosaici che Dante non può avere visto, ma di cui può avere saputo. Temi
poi ripresi a fine Duecento a Roma, prima del Giubileo 1300, da Pietro Cavallini a Santa Maria in Trastevere,
e da Iacopo Torriti a Santa Maria Maggiore. Rappresentazioni che Dante può avere
e non avere visto, ma di cui certamente sa, segnarono il giubileo del secolo, poiché
vi modella la sua Maria della “Divina Commedia”, la vergine “alta e umile più
che creatura”. Del resto il tema della “Dormitio” di Maria Vergine era diffuso
in Toscana, a Siena e a Pisa, e nella stesa Firenze: Per non dire di Ravenna: “Bisogna
ricordare che Dante scrive gli ultimi canti del «Paradiso, o almeno li lima e
corregge, nella bizantina Ravenna, nell’abbaglio dei mosaici di san Vitale, di
sant’Apollinare, di Galla Placidia, dentro una teoria bizantina dell’icona”.
Ultima ragione del “Dante bizantino” è “che spiega altresì perché
Mandel’štam sia il miglior commentatore della «Commedia» in tutto il
Novecento”.
La Dormitio di Maria madre di Gesù è la dottrina che la vuole non
morta ma solo addormentata e quindi assunta in cielo.
Documentario – È il cinema libero,
ultimamente, o indipendente. Da “Fuocammare” a “Visages Villages”: biopic, biografie per immagini (picutures), opera più che altro di
montaggio, e cose viste, con personaggi e scene non professionali, “da strada”.
Anche di Nanni Moretti, seppure con impianto industriale: “Aprile”, “Caro
diario”, “Il caimano”, un film in realtà sulla miseria dell’industria delle immagini,
e “Mia madre”, su come non fare un
film (su come si fanno i film), e ora con i “corti”. Per una divisione,
apparentemente, preventiva del pbblico, tra produzioni di massa (blockbuster) e robetta a circolazione limitata,
di poche copie in pochi cinema per pochi giorni. Mentre invece la vera
divisione è di budget. “Fuocammare” sconfina nella ong, “Villages Villages”
parte da un crowdfunding, da una
raccolta popolare di fondi, perché le sceneggiature sono ritenute opera sociale
e non di spettacolo. Ma il pubblico, dei biopic
e anche di “Fuocammare”, è televisivo, per definizione di massa, di grandi
numeri.
La vera divisione, o incongruenza, è della
critica. Che si intende di qualità. Ma, al cinema, tratta con sufficienza i
prodotti buoni se a basso buget e magnifica le produzioni di massa. Sia ai
festival he sui media, con gli spazi concessi e anche con i pareri critici. Avallando
e imponendo “i film brutti”, direbbe Moretti. Suppellettile della pubblicità, parte
del budget promozionale, quello destinato a catturare il pubblico che ama “i
film belli”.
Faust – O Fust: Charles Nodier ne ha un altro, uno stampatore, collaboratore di Gutemberg, quindi agli inizi, sospetti, della stampa: “Fust o Faust, socio di Gutemberg, che a quanto si dice venne a Parigi a vendere a prezzo di manoscritto, e come fossero tali e quali, le prime Bibbie di Magonza”. Con successo. Fino a che, cioè presto, quei “manoscritti” in fotocopia, con identica paginazione, apparvero ben strani. E “poiché a quell’epoca tutto ciò che pareva strano sembrava anche soprannaturale, a quegli spiriti accecati dalla superstizione, che attribuivano molto potere al demonio e non avevano idea di quale fosse quello del genio, si concluse che Faust fosse uno stregone”. Rischiò il rogo, “ma si salvò, e la stampa trionfò fin dalla nascita sul fanatismo che un giorno avrebbe sbaragliato”.
Francese – La lingua della scuola italiana due generazioni fa è totalmente
dimenticata. Deformata: desert, depliant, phisikk du role (Pino Pisicchio), lo impasse, i pensées, di Pascal, di Bayle.
Giallo – Il genere del pessimismo “cosmico”, e non
dell’ottimismo, lo vuole Andrea Zanzotto nel saggio premesso a Piovene, “Le
stelle fredde” – seppure chiami “giallo” il “noir”. E metafisico. Lo fa con un’efficace genealogia: “Il giallo,
e la crisi del giallo come crisi della razionalità «buona» che opera quale
sicuro agente del «bene»: da Robbe-Grillet a Dürrenmatt a Handke (ma, ancora,
si potrebbe ricondurre tutto il filone a Kafka) per arrivare perfino ai gialli
di consumo,vediamo in questo genere cadere lo schema ottimistico e finalistico
e apparire il fallimento, o almeno un’«indeterminazione», per cui l’elemento
casuale, prima accuratamente mascherato e minimizzato, ritorna in tutta la sua
follia-imprendibilità. E un giallo metafisico è quello che si svolge, senza
lieto fine, in buona parte della letteratura contemporanea; il crimine, il
delinquente che hanno leso il cosmo, non vengono depistati da alcun
accorgimento”.
Io – Il pronome che ora dilaga nella narrazione è il "vecchio animale" per Svevo, di cui diffidare.
Ma servendosene senza ritegno.
Gadda, che se ne serve meno, parecchio meno, lo vuole
"il più lucido di tutti i pronomi".
Modernità – È invenzione di
Baudelaire. Che però fu anche passatista. Impose Poe e Wagner, ma non comprese
i contemporanei in pittura, arte che pure prediligeva.
Suffragio universale – Ebbe forti
oppositori nella Francia che lo inventò. Non solo ideologi, alla De Maistre. Flaubert è sempre sarcastico in materia.
I diari dei Goncourt pure. Baudelaire, che poco se ne curava, pure.
letterautore@antiit.eu
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