Decostruzione – È
più della detection? Derrida come
Sherlock Holmes? Come Marlowe, più simpatico.
Filosofia - La filosofia,
dice san Paolo, è follia agli occhi di Dio. E Dio non è folle?
Perché c’è sempre qualcosa, se c’è solo il
niente? E come si fa a annegare nel niente, pensandolo? Questa si è già
sentita. Nietzsche avrebbe voluto scrivere, nelle sue “transvalutazioni”, una
“critica della filosofia come movimento nichilistico”. Non l’ha fatta, ma è
presto detta.
Nessuno, Omero lo spiega, è un trucco,
poiché è qui a raccontarla. Poi viene il tempo. Non si nasce in realtà, e non
si muore, si è dentro il tempo. Anche prosaicamente, si è sempre affaccendati,
anche nell’ozio. Ma questo annulla il tempo: lo dilata, lo accorcia. Il tempo è
comprimibile, sia facendo che non facendo, e in durata – memoria, fantasia,
ricostruzione – è estensibile senza limiti.
Ma il tempo è senza capo né coda, la
stessa storia ha problemi a definirsi di un tempo preciso, e quindi non è. È
questo il senso della vita. O della morte. L’eternullità che ha inventato
Laforgue. O Falkenfeld, il kantiano: “Non posso credere che gli avvenimenti del
mondo influiscano minimamente sulle nostre parti trascendentali” - che per
questo non si può dire morto, dimenticato.
Si può continuare a volontà e finirla con
Wittgenstein, l’idiota della famiglia, col noto superbo precetto: “Ciò di cui
non si può parlare va taciuto”. Che già Alice spiega a Humpty-Dumpty.
O non sarà la filosofia la parola del
silenzio? A Wittgenstein piaceva fischiettare la musica, usare le mani, educare
i bambini, andare in barca, leggere i gialli comici di Norbert Davis e, probabilmente,
“Alice nel paese delle meraviglie” – bisognerà cercarne le radici nella Symbolic Logic di Carroll, che il filosofo di Cambridge non menziona perché
il reverendo era di Oxford. Ma il suo invito a tacere era già di Carlyle, teorico
dell’eccezionale: la verità è cosa “di cui la logica dovrebbe sapere che non si
può parlare”.
Wittgenstein non sapeva che si
parla pure tacendo, Heidegger l’aveva appena accertato: “Il
linguaggio parla quando si tace”.
Dio ogni tanto, anche nella Bibbia, si
eclissa.
La filosofia è poesia per Hannah Arendt.
Forse nel letto dei filosofi. In francese, la pensée, è la viola primaverile. L’italiano la dice “viola del
pensiero” – o “tricolor”.
La viola mammola è nel Petit Robert pensée sauvage.
Mammola, mammoletta, è ragazza ingenua,
disarmata – ma forse per finta.
Pretende
di eliminare il badinage dell’immaginazione nel
mondo dei possibili, niente giochi. Mentre la scienza se ne fa metodo, i
filosofi se ne vergognano: la razionalità è il filo dell’ordine, del potere,
mentre l’ordine reale, quello fisico, è il disordine.
Succede con la reductio ad unum,
mania irrefrenabile. Con l’ontologia, che nessuno sa cosa sia, dalla Filosofia
al Pensiero dell’Essere. Nemmeno Heidegger, il quale conclude: “Il pericolo per
il pensiero è il pensiero medesimo” - crepuscolare fino alla fine: “Il dolore
elargisce il suo balsamo là, dove\ Noi non lo aspettiamo”, nell’aldilà?
O sarà la filosofia la sentinella di
Pompei che Spengler celebra, cadavere all’erta.
Oppure è mimo che, non trovando i capi
della matassa della vita, gesticola senza soggetto, o oggetto.
Per Lévinas non è che una meditazione di
Shakespeare. È una bella fine. Si potrebbe rifondarla sotto l’aspetto
marivodiano dell’Indigent Philosophe, una gaia scienza alla
Figaro: il vero falso non è il falso vero.
Filosofia tedesca - Il
filosofo Falkenfeld, arruolato nel 1914 e mandato al fronte, dalla trincea
scrisse all’amico Marcuse: “La terza antinomia di Kant è più importante di
questa guerra”. Ma il dio tedesco, fra tutti gli dei imperiali, non ha lasciato
tracce personali, un’estetica, un modo di vita, una pedagogia, uno sport, una cucina,
una giustizia, una politica, se non la terribilità – sì le macchine, ma se ne
fanno buone ovunque: finita quella guerra non c’era macchina migliore della Fiat. Il problema è nella filosofia.
Libertà - “La libertà non esiste finché non sia
dichiarata dì’autorità”, afferma il signor Innocenzo, “uomo vivo” di
Chesterston. E protetta, va aggiunto - con la violenza.
Opinione Pubblica – Un
Weltjournalismus conia Heidegger nel
“Quaderni Neri” 1942-1948, la parte ancora non tradotta. Per analogia col Weltjudentum, l’ebraismo mondiale, il
complotto dei “Savi di Sion”, altgro suo rovello, ma non senza verità nello specifico. C’è di fatto un
giornalismo da tempo “mondiale”, anche da prima della rete, anche da prima dell’universo
“in diretta” macluhaniano – della crisi dei missili a Cuba, della guerra al
Vietnam. Una opinione unica e prevalente., Non critica. Ripetitiva – il
“tormentone”.
L’opinione pubblica può essere molto
“pubblicitaria”, cioè passiva. Riflettente. Messaggi trasmessi (trasmissione di messaggi).
La Öffentlichkeit
si pensa sempre più con Heidegger in Germania - dove più è stata pensata e sistematizzata - e si traduce come
“Pubblicità”, non più come sfera o opinione pubblica. Il timone è passato dalla
ricezione critica alla trasmissione - ruminazione, amalgamazione. È lo
strumento e lo strumentario di chi elabora e impone i messaggi.
Tribù - La percezione della tribù, dal vetero
nazionalismo al vincolo fittizio del sangue e ora all’ideologia, una
sovrastruttura senza necessità, se ce ne sono, e tuttavia urgente al pari della
famiglia, appare nella forma della rigenerazione, di orrido battesimo di
sangue. Una purezza acquisita nella distruzione. Non nell’annientamento, che è
evento quasi naturale, a suo modo divino, ma nella distruzione pratica, gesto
dopo gesto, vicino dopo vicino, giorno dopo giorno. La follia.
È questa purezza che ha contagiato Franz Fanon,
psichiatra, negli anni delle indipendenze, dell’ultimo fuoco del nazionalismo –
il nazionalismo è una forma di tribalismo? E gli psicagoghi di Parigi, per i
quali nessuna rivoluzione era – è mai stata - quella giusta? La tribù come
fatto rivoluzionario.
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