Biopolitica - Un concetto
storicizzato – la concettualizzazione della storia, di una storia – quale è in
Foucault, studioso del potere nelle forme assunte dalla modernità, si
assolutizza o ipostatizza. Viene fissato, seppure nelle forme divisive di
istantanee in successione. E semplificato. Mentre è un processo, complesso.
L’operazione del potere sulla vita è continua, e incessante – è il suo proprio:
il potere interagisce sulla vita.
Femminismo – È autorappresentazione.
Non più liberazione, da vincoli, pregiudizi, ineguaglianze, ma una forma di
pensiero. In opposizione, più che costitutivo – lascia insoluti o irrelati dati
fondamentali come la fisiologia, la
procreazione, la genitorialità. In un’uguaglianza non contestata, ora non più,
ma senza la–le differenza-e. Di cui il mito della bellezza è parte. Non subdolo
o artefatto, un mito non può esserlo.
L’uguaglianza non è un mito, è un fatto,
giuridico, economico, politico.
Gran
Simpatico –
Si è perduta questa denominazione, a lungo in uso per il sistema nervoso
centrale. La parte addominale di esso. Che presiederebbe alle passioni, eventi
incontrollabili, i suoi centri non dipendendo dalla volontà né i suoi moti dalla
ragione, dalla coscienza. Il luogo anzi delle passioni (ambizioni, gelosie,
invidie) che, arrivando al cervello, diventano le fedi e gli ideali. Se ne può
parlare oggi per sancirne la decadenza, o l’assenza. Soppiantato, come la
coscienza, dall’inconscio della psicoanalisi, della “cura con le parole”, o
della “psiche da manuale”. Ma se ne è perduta anche la funzione?
Guido Piovene, lo scrittore, sanciva il declassamento cinquant’anni fa (“Le stelle fredde”, 1970). “È stato il padrone del mondo, ma adesso è declassato e perde importanza. Sta uscendo dalla scena, almeno rispetto al cervello. Il cervello riceve sempre meno i suoi invii e soffre anche lui a modo suo: non domina, non trasforma, non esprime più nulla”. Funziona, ma senza effetto: “Continua a scatenare le sue tempeste, che si alzavano un tempo fino a toccare il cielo. Adesso rimangono lì. Antigone non diventa Antigone, Enea non diventa Enea. Sono fanatismo, violenza, rabbia, imposizione di fedi, smaniose, senza scopo, senza bellezza, sordide e micidiali come i cadaveri viventi”.
Guido Piovene, lo scrittore, sanciva il declassamento cinquant’anni fa (“Le stelle fredde”, 1970). “È stato il padrone del mondo, ma adesso è declassato e perde importanza. Sta uscendo dalla scena, almeno rispetto al cervello. Il cervello riceve sempre meno i suoi invii e soffre anche lui a modo suo: non domina, non trasforma, non esprime più nulla”. Funziona, ma senza effetto: “Continua a scatenare le sue tempeste, che si alzavano un tempo fino a toccare il cielo. Adesso rimangono lì. Antigone non diventa Antigone, Enea non diventa Enea. Sono fanatismo, violenza, rabbia, imposizione di fedi, smaniose, senza scopo, senza bellezza, sordide e micidiali come i cadaveri viventi”.
Cinquant’anni fa come oggi? Forse nella
psicoanalisi, tutto vi è già avvenuto.
Narcisismo – È il dato
dell’epoca – come in ogni altra epoca, ma ora senza argini. Né contorno o
contesto. In letteratura, nei media (il “personaggio”), in politica (“io e il
mio io”). Tutti “eroi” di loica virtù o chiacchiericcio – senza nessuna virtù.
Ma senza i sensi di colpa che Freud vi connette. La strategia narcissica
dovrebbe generare sensi di colpa, per quell’intima malafede, e anche viltà, per
cui si argomenta per escludere ogni senso di responsabilità, e senza mai
arrivare al coraggio della menzogna professa. Può dardi che Freud sbagli, ma
l’esito è pur sempre di un imbuto, o una impasse.
Una sorta di tautologia – di afasia sonora.
Vincono Di Maio e Salvini perché parlano
più di tutti, ma loro stessi non sanno quello che dicono – parlano “a
macchinetta” – né se ne curano. Sanno solo che vogliono vincere, che ogni mossa
va condotta a quel fine. È solo questa la loro coerenza, la logica. E i loro
elettori non chiedono altro, per la stessa sindrome, dell’apparire e del
vincere.
U altro discorso è se questo narcisismo di
superficie, da “Isola dei famosi”, non sia l’esito di una regressione, del giudizio
e anche dell’alfabetizzazione – al “discorso senza senso”. Che un tempo era il
linguaggio del comico.
Percezione – È la
determinante delle decisioni, più che il giudizio: si decide sulle apparenze e
sulle prime impressioni. Lo studio post-elettorale presentato da Ipsos Flair
(Nando Pagnoncelli) al Cnel afferma e spiega che le percezioni sono state all’origine
del terremoto al voto. Ma questo è successo anche prima, ed è inevitabile: la
prima risposta, e anche la seconda, è d’impulso.
Psicoanalisi – Fa il mondo piatto, pretendendo di spiegarlo, pur scavando o costruendo montagne. Snervato, per innumerevoli dissezioni, interminabili, perché il mondo fa senza ossigeno, spento. Terapeuticamente, è un cura che è un morbo, una dipendenza – una droga.
Se è una terapia, la psicoanalisi
dissecca.
Spazio - Lo spazio c’è. La città non è le persone,
non è il sangue né gli affetti. Non è tribù, né insieme di gruppi sociali
coesi: è un’organizzazione dello spazio. Sempre si sa che è la città a fare le
persone, è l’organismo prototipo, che prevarica i componenti,
Tribù - Nel Medio Evo la chiesa imponeva agli
ebrei due e tre conversioni. E non solo per avidità, per moltiplicare i
donativi obbligatori. Era una forma di saggezza. Dirazzare, uscire dalla tribù,
è come dividersi, nella mente e perfino nel corpo, nel passo, nel portamento,
si perde in lucidità. Non si ha in realtà rispetto del tribalismo: ogni mondo è
una costruzione culturale, e la cultura ha pochi segni. Forse il mondo fisico
ne ha di meno, ma quello culturale certo ne ha pochi, siamo più o meno gli
stessi, se non altro perché ci parliamo, il
linguaggio è comune. Né si può avere della tradizione culto feticista,
meno che meno eliotiano, ideologico: si vive nel presente, ci si lusinga di vivere
nel presente, non ci si ferma a guardare indietro, il compiacimento appare
stupido. Anche se le deliberazioni nette non sono altro che polemiche certezze
dell’incerta adolescenza. Ma la tribù, pur tra parentele, prestiti, acquisti e
ogni altra verità etnografica, è un dato di fatto. Anche a Parigi o Londra.
La conversione non è il battesimo
originario, benché ne ripeta la formula, il quale è invece per sempre, un imprinting. Come i coloni volenterosi in
Africa, i convertiti, voltando le spalle alla famiglia, la cultura, la terra,
sono per sempre disturbati, avendo rinnegato se stessi. Si può vivere la
pensione in Portogallo, anche nelle remote Azzorre, o alle Madeira, se piace il
Sud: senza tasse, si raddoppia l’assegno e si spende meno, il costo della vita è
inferiore – lontani anche, per molti servizi, dagli abusi che sono purtroppo la
norma in Italia, nella dissoluzione dell’Italia. E tuttavia, si vive
nell’incompletezza: il senso della vita si vive nella comunità originaria,
anche se aborrita.
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