Rai Uno, la tv più seguita,
nell’orario più seguito, ha lunedì Montalbano, mercoledì “Amiche da morire”,
giovedì “La mafia uccide solo d’estate”, e starnazza il prossimamente di “Il capitano Maria” – prima di rimandare le nuova serie all’autunno. Tre serate
siciliane e una pugliese, su sette. Sono film di ammazzatine, detto alla Camilleri, e queste, come è noto, avvengono solo al Sud. Ma è difficile immaginare una serie di serate
Rai in Veneto, in Lombardia: mancano di caratteri. Anche per l’Emilia, bisogna
risalire a Don Camillo, sessant’anni fa.
Però, trionfa in Rai la parlata
siciliana alla Camilleri. Falsa cioè.
Che Erodoto sia di Thurii, cioè di
Corigliano Calabro, invece che di Alicarnasso in Asia Minore, lo dobbiamo a
Aristotele. Che nella “Retorica”1409°28, cita come prime due parole delle
“Storie” di Erodoto: “Di Erodoto di Thurii”. Anche Plutarco è sulla stessa
linea, che a un punto della vasta congerie di “Moralia”, 604F5, ricorda: “Vi sono
molti che leggono Thuriou”, di Thurii.
I rapimenti di persona, in Sardegna,
in Toscana e in Calabria, e a un certo punto il terrorismo, concorsero a una
prodigiosa attività assicurativa, presso i Lloyd’s di Londra, che
contrassicuravano per questi rischi. Furono anche valida scusa per il
cambiamento di residenza: i rapimenti servirono ai ricchi per spostarsi
a Montecarlo, Lugano o Londra, senza che il fisco li importunasse.
Fa presto il capitale a mettere la mafia a profitto, e il terrorismo.
“Per le tradizioni classiche in tutte le civiltà di lingue morte
l’invenzione non è nei soggetti né nelle forme ma nella messa in opera
linguistica. Essere originali è essere all’origine. È eleggere un antico che
tutti gli altri contemporanei hanno lasciato senza posterità d’imitazione. In
Cina un mandarino; a Roma un patrono: in Sicilia un padrino” - Pascal Guignard,
“Sur le jadis”. Un mafioso.
Le due Calabrie
Salento e Calabria si
sono scambiati i nomi. Entrambe le regioni primo approdo dei primi coloni greci,
entrambe “grandi” ai loro occhi, terre belle e ricche. Entrambe hanno una
minoranza e una parlata greca, il grikò e il grecanico Unite dalla filologia di
Rohlfs, “Calabria
e Salento. Saggi di storia linguistica”, che le fa sintatticamente antico greche e non bizantine (per un nativo
parlante il dialetto, anche non greco, conclusione solo ovvia: i dialetti
latinizzati hanno mantenutole tre costruzioni antico greche del linguista
tedesco, almeno tre). E non sono state del tutto vicendevolmente estranee,
anche se non contigue. Ancora negli anni 1950 braccianti salentini emigravano
per i lavori stagionali in Calabria, nella parte allora ricca della Calabria,
la piana di Gioia Tauro, prima delle mafie, per la lavorazione dell’olio. E
mediatori salentini giravano per le campagne per accaparrarsi gli agrumi sull’albero,
e l’olio di prima spremitura, con anticipi generosi.
Oggi il Salento è
probabilmente la regione più pulita e ordinata in Italia, e in Europa. Più
rispettosa dell’ambiente, pur accogliendo le folle estive dei bagni di mare,
perché meglio organizzata. Con una struttura produttiva diversificata,
innovativa e robusta, tra agroindustria, abbigliamento, arredamento e altre
attività leggere. Una viabilità perfettamente tenuta. Una temperie culturale
vivace, attorno all’università di Lecce, a Gallipoli, Otranto, Santa Maria di
Leuca, Martano, etc., pizzica compresa Un recupero architettonico e dell’edilizia abitativa che
non ha nulla da invidiare alle fantasmagorie della Germania, opulento e bello,
classico. Piccolo, ma paradiso.
Un mondo naturalmente
ricco ridotto allo stremo, invece, nel reggino. Sporco, disordinato. Strade
rotte, tutte. Case interminate, obbrobriose.
Una funzione pubblica rognosa, incattivita, forse incapace: nella sanità
nell’amministrazione, perfino nella scuola. Succede quando la miseria invade
per regresso, da una situazione migliore e in sviluppo, che è morale prima
ancora che economica. Tra sconfitta e sopraffazione.
Storia di Scullino
Non ci si sbarazza della lingua che si è
appresa infanti, e della memoria, allo stesso modo come non bisogna sottrarsi al tempo e al mondo in cui si vive –
senza i quali non si è niente.
Era sfuggita la
notizia dell’assoluzione di Gaetano Scullino, sindaco di Ventimiglia, dopo
cinque anni di abominio. La Corte di Cassazione
ha emesso la sentenza di assoluzione piena per Scullino già nell’aprile 2017. Successivamente,
a Ferragosto, il Consiglio di Stato ha sentenziato che il 26 febbraio 2012 il Consiglio comunale di
Ventimiglia “non doveva e non poteva essere sciolto”: non vi erano prove di infiltrazioni o condizionamenti da parte della
malavita, e nemmeno indizi, solo ipotesi.
Scullino è nato a Sanremo. Ma
è un ex socialista, poi berlusconiano, quindi doppiamente inviso ai
Carabinieri. In più è figlio di calabresi. Di Sitizano. Da qui le “ipotesi”.
Concretizzatesi alla vigilia del voto per il Comune, che avrebbe riconfermato
Scullino sindaco.
I Carabinieri avevano
anticipato la cosa di un anno al “Fatto Quotidiano”, che il 25 giugno 2011 già informava: “Ventimiglia in particolare è
ritenuta l’enclave delle ‘ndrine calabresi dedite agli appalti, al
controllo del mercato di sostanze stupefacenti, all’usura e al favoreggiamento
della latitanza di pericolosi criminali”. Senza più, basta la parola. Mancava
la prostituzione, il resto c’era tutto, un capo d’accusa completo. Anzi,
locupletato: uno dei capi d’accusa contro Scullino era di “avere nipoti o altri
parenti a Reggio Calabria”. Vero – il capo d’accusa è vero, era questo.
L’anno dopo c’era all’Interno
la prefetto Cancellieri, tripolina, col governo Monti, prefetto a Imperia la
napoletana Spena, e i Carabinieri sfondarono una porta aperta.
La notizia era sfuggita perché non pubblicata: un calabrese assolto non fa notizia. L’assoluzione era già stata ottenuta sia in primo grado – dal giudice Paolo Luppi, “figlio di uno dei più valorosi capi partigiani liguri” - che in appello. Ma neanche di questo si era avuta notizia. Scullino era inviso al Pd, che allora controllava i giornali (sembra un mondo fa, eh?), e le Procure, e questo bastava. Dei calabresi assolti, poi, figurarsi.
La notizia era sfuggita perché non pubblicata: un calabrese assolto non fa notizia. L’assoluzione era già stata ottenuta sia in primo grado – dal giudice Paolo Luppi, “figlio di uno dei più valorosi capi partigiani liguri” - che in appello. Ma neanche di questo si era avuta notizia. Scullino era inviso al Pd, che allora controllava i giornali (sembra un mondo fa, eh?), e le Procure, e questo bastava. Dei calabresi assolti, poi, figurarsi.
Era sfuggita anche perché
il Consiglio di Stato si era pronunciato a Ferragosto - la sentenza è stata
pubblicata il giorno 15. Tanta era la fretta? O l’ingiustizia da riparare? O da
nascondere?
Prima di Ventimiglia,
il Consiglio di Stato aveva dichiarato inammissibile anche lo scioglimento del consiglio
comunale di Bordighera, insieme con Ventimiglia. Sempre per ‘ndrangheta. Sempre
a opera della prefetto napoletana Spena.
Sculli, Scullino il
Rocci lega al poco: quisquilie, resti, spoglie, spoglio. Anche al cane marino,
o al mostro di fronte a Cariddi. Ma Scullino è nome terragno, di gente di campagna,
con la quale si è cresciuti bambini. In Italia non
più di 150 persone hanno questo cognome, alla cui origine ci sono quattro famiglie
di Sitizano, presto emigrate, una a Arma
di Taggia. Più le donne Scullino, andate spose.
Tra esse donna Vittoria. L’evidenza
spesso è nascosta: era Scullino donna Vittoria, la moglie di Giacomo De Gilio,
il genio tuttofare della piccola tenuta olivicola di Arcimedi in agro di Oppido
Mamertino, dagli innesti alle pompe idrauliche, le prime del genere, con doti
anche di rabdomante, seppure non altrettanto capace, alla ricerca delle falde
acquifere. adre di numerosa prole, sette figli. Compresi i quasi coetanei Carmelo
e Alfonsina, compagni di scuola rurale e di giochi.
Scullino, Moio, Arma di Taggia, Ventimiglia si evvoicavano ad agosyo del 2011, il giornale riportando questi nomi familiari, di successo lusinghiero in politica, vice sindaco, sindaco, ma initi nella cronaca nera. Patronimici poco frequenti, che s’immaginavano figli o nipoti degli stessi con cui si facevano nell’infanzia le scorrerie per oliveti, agrumeti, valloni, fiumare, o per nidi di passeri sulle selle alte degli ulivi - e infatti Rohlfs li attesta a Castellace e Sitizano, circoscritti. Di famiglie mitissime, emigrate anche per questo, per odiare la prepotenza. Il reato che si contestava era il “voto di scambio”: aver cercato voti presso i calabresi emigrati. L’origine li condannava ancora alla seconda o generazione.
leuzzi@antiit.eu
Scullino, Moio, Arma di Taggia, Ventimiglia si evvoicavano ad agosyo del 2011, il giornale riportando questi nomi familiari, di successo lusinghiero in politica, vice sindaco, sindaco, ma initi nella cronaca nera. Patronimici poco frequenti, che s’immaginavano figli o nipoti degli stessi con cui si facevano nell’infanzia le scorrerie per oliveti, agrumeti, valloni, fiumare, o per nidi di passeri sulle selle alte degli ulivi - e infatti Rohlfs li attesta a Castellace e Sitizano, circoscritti. Di famiglie mitissime, emigrate anche per questo, per odiare la prepotenza. Il reato che si contestava era il “voto di scambio”: aver cercato voti presso i calabresi emigrati. L’origine li condannava ancora alla seconda o generazione.
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