lunedì 16 aprile 2018

Il mondo non è sbagliato

“Quello che è sbagliato è che noi ci chiediamo cosa è giusto” è la risposta alla domanda del titolo. Ma è giusta?
Chesterston non rinuncia al paradosso. Sempre arguto. Ma riflessivo: questa meditazione in cinquanta capitoli, su tre o quattro temi della contemporaneità, che mise a punto nel 1910, svolge più con pena che con humour. Non a torto, leggendolo a un secolo e più di distanza: pagine dense, ostiche perfino, ma non perente, anche quando sono controvertibili.
Le stesse agudezas e i paradossi sono per lo più pratici, “scientifici”. Soprattutto la critica del sistema educativo: ironica, sotto forma di apologia della public school inglese, le grandi scuole private dell’aristocrazia, e spietata. Quel modello improntato alla “falsità” ha impregnato “snobisticamente” l’insegnamento pubblico, dei lavoratori: “I poveri si trovano imposte mere copie pedanti dei pregiudizi dei remoti ricchi”.
Ma senza rinunciare, sotto le forme caratteristiche del paradosso e del ribaltamento, alle solite “beatitudini”, le verità all’improvviso. “Il compromesso un tempo significava che mezza pagnotta è meglio di niente. Tra gli statisti moderni invece significa che mezza pagnotta è meglio di una intera”, il principio della corruzione. La famiglia è “la prima istituzione anarchica”, “più vecchia della legge e fuori dello Stato”. “Non c’è nella storia una Rivoluzione che non sia una Restaurazione”. E c’è già l’angelo della storia celebrato di Walter Benjamin: “L’uomo è un mostro deforme, con i piedi voltati in avanti e la testa indietro”. Si licenziano i lavoratori come si tenevano gli schiavi. “All’evidenza, la vita pubblica diventa ogni giorno più privata”. “La moda letteraria insorta nella vita moderna si dedica a romanzare gli affari, a grandi semidei dell’avidità e alla favola della finanza”.  “L’essenza di un esercito è l’idea di ineguaglianza ufficiale, fondata sull’eguaglianza inofficiale. Il Colonnello non è obbedito perché è il migliore, ma perché è il Colonnello”.
E ci sono già la ragione e il contesto dell’impasse oggi tra Occidente (gli Usa e l’Europa) e islam. “Non è affatto vero che un credo unisce gli uomini. Anzi, la differenza di credo li unisce - fintanto che c’è una differenza chiara. Un confine unisce”. E fa il caso proprio dell’islam e il cristianesimo, che oggi si odiano perché hanno perduto la loro propria identità: “Molti mussulman magnanimi e crociati cavallereschi devono essere stati molto più vicini gli uni agli altri, perché erano entrambi dogmatici, di quanto possano esserlo due agnostici senza casa”. Mentre la modernità “vorrebbe risolvere questi credi in tendenze”, i trinitari (i cristiani) voltando all’indifferenza, seppure benevola, “e il mussulmano in un monista, una caduta intellettuale spaventevole” – “il cristiano un politeista e il mussulano un panegoista, entrambi folli, e molto più incapaci di capirsi di prima”.
Una sottigliezza, che però prevede anche il punto di arrivo un secolo dopo, spiegandosi già allora i risentimenti in Europa e negli Usa verso l’islam col fatto che sono terre cristiane che hanno rinunciato al loro Dio uno e trino - anche ufficialmente, si potrebbe aggiungere, nelle costituzioni o nei progetti di costituzione. Analogamente avviene nella politica: “L’indistinzione politica divide gli uomini, non li unisce. Gli uomini andranno sull’orlo dell’abisso col tempo limpido, ma si allontaneranno da esso di miglia nella nebbia”.
Divertente, malgrado l’apocalitticità. “Se gli americani possono divorziare per «incompatibilità di carattere», non vedo perché non sono tutti divorziati; ho conociuto molti matrimoni felici, ma mai uno compatibile”. Contestabile – non sarebbe Chesterston. Sul laicismo: l’illuminimo-darwinismo singolarizza e appiattisce, la religione arrichisce. Sui generi, maschile-femminile, all’epoca del femminismo, il secondo tema su cui più si dilunga, con precisazioni di precisazioni. Sull’imperialismo: “L’imperialismo, credo, è una finzione creata non dalla durezza inglese ma dalla morbidezza inglese; anzi, in un certo senso, dalla gentilezza inglese”. E sul darwinismo. Ma con obiezioni non pregiudicate, e anzi stimolanti. Specie sul lato politico: molto prima il Darwin, il suo argomento è stato portato contro al democrazia, dai realisti ma anche da Burke – “la semplice nozione di adattamento ci minaccia”, ls sopravvivenza del più adatto.    
Sul rapporto tra i generi, il campo oggi più scivoloso, può dare già per scontato l’imbranamento maschile. Il femminismo, un femminismo, quello marciante, scoprendo come non-luogo, non-essere: “Lo scopo della guerra civile, come di ogni guerra, è la pace”, quello del femminismo è l’anarchia. E “la Rivoluzione per natura produce governi; l’anarchia produce solo più anarchia” – “si può tagliare la testa al re solo una volta”. Femminista s’intende “uno-a che odia le principali caratteristiche femminili”.
Di traduzione impervia, di Annalisa Teggi. Che lo ha assortito di un ultimo capitolo, pubblicato a parte sulla rivista “T.P’s Weekly”, col titolo opposto, “Che cosa c’è di giusto nel mondo”. Dove giustifica “Cosa c’è di sbagliato” come titolo redazionale, dell’editore. Così come la forma trattatistica, in cinque parti e una cinquantina di capitoli, compresi tre di annotazioni aggiutive, a inquadramento di certe affermazioni spinte, sul femminismo eccetera: “Io avevo immaginato il libro come un decoroso piccolo trattato filosofico, dalla copertina scialba, senza capitoli”, alla Aristotele, “la pagina qui e là segnata da indicazioni al margine”.
La morale del contro-trattato è semplice: “Cosa c’è di giusto nel mondo è il mondo”. Sempre sospettoso del progresso, delle magnifiche sorti e progressive. “Io sono precisamente nella posizione opposta”, tutto il meglio è già avvenuto: “Sono molto più sicuro che tutto è buono all’inizio di quanto sono che lo sarà alla fine”. Avendo naturalmente (paradossalmente) già sostenuto che “nessuna tradizione in questo mondo è così antica come le tradizioni che portano alla moderna sovversione e all’innovazione. Niente oggi è tanto conservativo quanto una rivoluzione”.
Una palinodia con due verità non contestabili. “L’Europa attuale esibisce una concentrazione sulla politica che è in parte l’esito spiacevole del nostro abbandono della religione, in parte il giusto e necessario risultato del nostro abbandono dell’ineguaglianza sociale e dell’iniquità”. “Attualnente tendiamo tutti a un errore: tendiamo a fare la politica troppo importante. Tendiamo a dimenticare quanto enorme è la parte della vita umana che è la stessa sotto un sultano o un senato, sotto Nerone o San Luigi”.

Un anarchico, di fatto. La parabola della bambina del lavoratore con cui chiude la trattazione, alla quale si rasano i capelli perché sporchi, è una mazzata agli assetti sociali. Il lavoratore abbia una moglie che debba anch’essa lavorare fuori casa per la sopravvivenza e non può occuparsi della bambina: “Poiché il lavoratore ha queste due persone a carico, il padrone di casa seduto (letteralmente) sul suo stomaco, e il maestro di scuola seduto (letteralmente) sulla sua testa, il lavoratore deve consentire che i capelli della sua bambina, prima siano trascurati dalla povertà, poi avvelenati dalla promiscuità, e infine aboliti dall’igiene. Lui, chissà, era orgoglioso dei capelli della sua bambina. Ma lui non conta”.
Gilbert K. Chesterston, Cosa c’è di sbagliato nel mondo, Rubbettino, ebook € 4,49

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