Il 28 gennaio 1936 la “Pravda”, il giornale del partito Comunista
Sovietico, che è quanto dire Stalin, criticò Šostakovič con asprezza, l’enfant prodige del regime, per l’opera
appena andata in scena “Lady Macberth del distretto di Mcensk”. Il compositore cadde
nel panico.Fece ammenda del suo “errore”, cancellò la prima della “Quarta
sinfonia” che aveva in calendario, e promise una riparazione. Sarà questa
Quinta Sinfonia, “opera positiva”, di cui il 21 novembre 1937, per il
ventennale della rivoluzione d’Ottobre, fu in grado di allestire la prima
esecuzione, sotto la direzione del suo compagno di strada Evghenij Mravinskij. Col
sottotitolo: “Risposta pratica di un compositore a una giusta critica”. Con
plauso delle autorità e scampato pericolo – niente fucilazione, nemmeno la
Siberia o il manicomio.
È un inno al futuro, e all’uomo che lo costruisce. Con ampio
ricorso a tutta la strumentazione, sempre vigorosa anche nei tempi lenti. Il
sottotitolo era seguito da queste note di programma: “Il nucleo ispiratore della
mia sinfonia è il divenire, la realizzazione della personalità umana. Al centro
della composizione, concepita liricamente da cima a fondo, ho posto un uomo con
tutte le sue emozioni e le sue tragedie; il Finale risolve gli impulsi del
primo tempo, e la loro tragica tensione, in ottimismo e gioia di vivere”.
“La Quinta è la «Sinfonia del Socialismo»”, poté così salutarla il
critico Aleksej Tolstòj – di un ramo minore dei conti, autore in proprio di
racconti erotici e di fantascienza. Tolstòj così spiegava l’opera dell’amico: “Comincia
con il Largo delle masse che lavorano sottoterra, un «accelerando» corrisponde
alla ferrovia sotterranea. L’Allegro, poi, simboleggia il gigantesco
macchinario dell’officina e la sua vittoria sulla natura. L’Adagio rappresenta la sintesi della natura,
della scienza e dell’arte sovietiche. Lo Scherzo rispecchia la vita sportiva
dei felici abitanti dell’Unione. Quanto al Finale, simboleggia la gratitudine e
l’entusiasmo delle masse”.
Lo stesso Šostakovič dirà la
Quinta un’opera pompieristica, conversando con Salomon Volkov nella postuma “Testimonianza”:
“Ritengo sia chiaro a tutti quel che «accade» nella Quinta. Il giubilo è
forzato, è frutto di costrizione… È come se qualcuno ti picchiasse con un
bastone e intanto ti ripetesse: «Il tuo dovere è di giubilare, il tuo dovere è
di giubilare»…E tu ti rialzi con le ossa rotte, tremante, e riprendi a marciare
bofonchiando: «Il nostro dovere è di giubilare, Il nostro dovere è di giubilare».
Si può dunque definirla un’apoteosi, quella della Quinta? Bisogna essere comlpetamente sordi per
crederlo”.
E invece, pur facendo ogni tara, antisovietismo compreso, la
Quinta vive e si raccomanda. L’opera probabilmente più eseguita e incisa di Šostakovič. Non
priva di ironia. Anche cattiva, sardonica, grottesca. Ma anche questo – o forse
proprio questo – concorre a vivacizzarla, ai limiti del popolare. Un’opera
critica, del pompierismo stesso che mette in musica. Scherzosa quindi, ma anche
possente, per una sorta di invidia, o di nostalgia – il lato oscuro del
sovietismo, la forza dell’uomo sovietico..
Dmitrij Šostakovič, Sinfonia
n. 5 in re minore op. 47, Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di
Santa Cecilia, direttore Xian Zhang
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