lunedì 9 aprile 2018

Ironia e forza del sovietismo

È la sinfonia riparatrice che Šostakovič dovette comporre in fretta nel 1936, per sfuggire alla “purga” imminente, della sua musica e della sua stessa persona. La testimonianza di un momento drammatico della storia, al culmine dello stalinismo, ma una composizione che supera il fatto e il momento, di felicità creativa durevole, seppure involontaria.
Il 28 gennaio 1936 la “Pravda”, il giornale del partito Comunista Sovietico, che è quanto dire Stalin, criticò Šostakovič con asprezza, l’enfant prodige del regime, per l’opera appena andata in scena “Lady Macberth del distretto di Mcensk”. Il compositore cadde nel panico.Fece ammenda del suo “errore”, cancellò la prima della “Quarta sinfonia” che aveva in calendario, e promise una riparazione. Sarà questa Quinta Sinfonia, “opera positiva”, di cui il 21 novembre 1937, per il ventennale della rivoluzione d’Ottobre, fu in grado di allestire la prima esecuzione, sotto la direzione del suo compagno di strada Evghenij Mravinskij. Col sottotitolo: “Risposta pratica di un compositore a una giusta critica”. Con plauso delle autorità e scampato pericolo – niente fucilazione, nemmeno la Siberia o il manicomio.
È un inno al futuro, e all’uomo che lo costruisce. Con ampio ricorso a tutta la strumentazione, sempre vigorosa anche nei tempi lenti. Il sottotitolo era seguito da queste note di programma: “Il nucleo ispiratore della mia sinfonia è il divenire, la realizzazione della personalità umana. Al centro della composizione, concepita liricamente da cima a fondo, ho posto un uomo con tutte le sue emozioni e le sue tragedie; il Finale risolve gli impulsi del primo tempo, e la loro tragica tensione, in ottimismo e gioia di vivere”.
“La Quinta è la «Sinfonia del Socialismo»”, poté così salutarla il critico Aleksej Tolstòj – di un ramo minore dei conti, autore in proprio di racconti erotici e di fantascienza. Tolstòj così spiegava l’opera dell’amico: “Comincia con il Largo delle masse che lavorano sottoterra, un «accelerando» corrisponde alla ferrovia sotterranea. L’Allegro, poi, simboleggia il gigantesco macchinario dell’officina e la sua vittoria sulla natura.  L’Adagio rappresenta la sintesi della natura, della scienza e dell’arte sovietiche. Lo Scherzo rispecchia la vita sportiva dei felici abitanti dell’Unione. Quanto al Finale, simboleggia la gratitudine e l’entusiasmo delle masse”.
Lo stesso Šostakovič  dirà la Quinta un’opera pompieristica, conversando con Salomon Volkov nella postuma “Testimonianza”: “Ritengo sia chiaro a tutti quel che «accade» nella Quinta. Il giubilo è forzato, è frutto di costrizione… È come se qualcuno ti picchiasse con un bastone e intanto ti ripetesse: «Il tuo dovere è di giubilare, il tuo dovere è di giubilare»…E tu ti rialzi con le ossa rotte, tremante, e riprendi a marciare bofonchiando: «Il nostro dovere è di giubilare, Il nostro dovere è di giubilare». Si può dunque definirla un’apoteosi, quella della Quinta?  Bisogna essere comlpetamente sordi per crederlo”.
E invece, pur facendo ogni tara, antisovietismo compreso, la Quinta vive e si raccomanda. L’opera probabilmente più eseguita e incisa di Šostakovič.  Non priva di ironia. Anche cattiva, sardonica, grottesca. Ma anche questo – o forse proprio questo – concorre a vivacizzarla, ai limiti del popolare. Un’opera critica, del pompierismo stesso che mette in musica. Scherzosa quindi, ma anche possente, per una sorta di invidia, o di nostalgia – il lato oscuro del sovietismo, la forza dell’uomo sovietico..
Dmitrij Šostakovič, Sinfonia n. 5 in re minore op. 47, Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Xian Zhang

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