lunedì 23 aprile 2018

La scuola di scarico

Il bullo a scuola non è una novità, il professore remissivo sì. E questo quando impera il “tutto scuola”, dei figli che devono passare a scuola otto-dieci ore, più una o due ore di andate e ritorno, a cominciare dai primi mesi di vita. Figli, generazioni, senza infanzia, se non scolastica. Ma di che scuola, se non di scarico?
Il “tutti a scuola” si intende come a una guardiania: stiano lì invece che soli in casa, che non si può, o come si diceva una volta per la strada. Ridotta, svanita, la funzione formativa – disciplinare e pedagogica. È questa la novità.
Il bullismo c’è sempre stato tra i ragazzi. Caserme e università lo avevano anche istituzionalizzato – si sono dovute fare leggi contro il “nonnismo”. Ci sono sempre stati atti violenti anche a scuola, contro i più deboli – più piccoli, remissivi, handicappati. Nel libro “Cuore” e nella memoria di ognuno. Specie nell’adolescenza, ma anche prima, a partire dall’asilo, per problemi caratteriali, familiari, di formazione sociale. Ora c’è anche tra le ragazze – normale, è uno degli esiti del femminismo.
Puericultrici e insegnanti hanno sempre avuto come compito, oltre l’insegnamento, la vigilanza: contro liti e prevaricazioni – la vecchia disciplina. E dove il singolo educatore non ci riusciva, per inesperienza o debolezza di carattere, supplivano gli altri insegnanti e la scuola.
C’era anche un altro rapporto scuola-famiglia. Nel senso che la famiglia delegava la scuola con fiducia – salvo riprendersi il figlio e cambiare scuola se insoddisfatti. E non la contestava come è oggi l’uso. Nelle tante assemblee e nei social, di classe, d’istituto, di amicizie. Quando è chiaro, scontato, che la violenza del bambino-ragazzo riflette situazioni “difficili” all’interno della famiglia, nei rapporti tra i genitori e dei genitori con i figli, o tra i figli.
La scuola oggi è invece avulsa dalla sua funzione, da ogni funzione. Remota, burocratica, “collegiale”, indifferente, oggettivata in questionari assurdi – per evitare il Tar. Un mero soggetto burocratico che si amministra formalisticamente, in un’ottica di penuria: insegnanti vincolati a orari sovrumani, pon astrusi, invalsi altrettanto astrusi, carte e carte da riempire di nessun uso. Perfino le ore d’insegnamento sono ridotte, di insegnamento effettivo. Il preside è remotissimo, figura peraltro svanita, mero responsabile contabile. La pedagogia ridotta a interminabili consigli a catena, di classe, di disciplina, contabili, d’istituto, di distretto, di distaccamento, genitori, genitori-insegnanti.
Questo è l’effetto di una insorgenza democratica confusa. E di leggi che mirano a indebolire la scuola pubblica - è di questa che si parla. Anche da parte di governi che si dicono suoi protettori, per una cattiva digestione del verbo liberistico.
Questa presunta democrazia ha annullato il ruolo e la competenza magisteriali. Che forse però, almeno in parte, si sono autoeliminati, e questo spiega la sfida agli insegnanti. In una con lo scadimento di tutte le funzioni dell’Auctoritas nelle società amorfe (“liquide”), nell’inconsistenza-inesistenza.

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