Alfieri “Il tetro Alfieri” lo dice Stendhal immortalandolo al secondo capitolo di “Armance” Octave, il giovane protagonista, ha una notte decisiva: ha lasciato disgustato il salotto dove socializza, tornando a casa a piedi per lo sdegno, sotto una pioggia fredda, ha rischiato la morte sotto una carrozza al galoppo, a casa ha chiesto di vedere la madre amata, che però dorme, e “solo con se stesso, tutto gli divenne insopportabile, perfino il tetro Alfieri di cui provò a leggere una tragedia”. Dunque, Alfieri era di lettura corrente, a Parigi, nel rimo Ottocento..
Poi Octave riprova a svagare la mente
leggendo “al piano un atto intero del «Don Giovanni», e i cupi accordi di
Mozart restituirono la pace al suo animo”. Mozart come Alfieri?
Fruttero, ancora recentemente (“Mutandine di chiffon”) ne elogia
molto la “Vita”. Come “un romanzo d’azione e d’avventura” unico nella
“tradizione” italiana, con “sense of humour, ingenuità, generosità, simpatia e
beninteso il genio del personaggio”. E lo ribadisce nel postumo “Da una notte all’altra”: “Forse l’unico
romanzo d’avventure pubblicato in Italia”.
Cicerone – Un borghese lo vuole
Fruttero: “Non era nato in una delle duecento famiglie che governavano Roma,
era un borghese. Collezionava libri,
sculture, quadri, insomma era un borghese, il primo della Storia, in un certo
senso”. Lo spiega nella sua storia letteraria in pillole uscita postuma sotto
il titolo “Da una notte all’altra” nel
2015. In singolare coincidenza con la trilogia che il romanziere inglese Robert
Harris ha dedicato allo stesso Cicerone, homo
novus, provinciale, tra gli ottimati romani.
Classico – “Confrontarsi con i grandi
per essere grandi”, così Giono condensa lo “spirito del Rinascimento”, che i
classici ha inventato.
Kipling – Anche Sciascia ha
liquidatorio le “gloriose fanfare imperiali del Kipling” – che apparenta a
Edgar Wallace…. Pur avendo letto Emilio Cecchi, di Kipling onesto affascinato
esegeta. Forse il grande autore meno letto, ora che anche i boy-scout sono in
declino..
Machiavelli – “Tradottissimo il
«Principe»”, trova Spadolini a Tokyo nel 1990.
È stato molto commentato, se non letto,
in Russia nell’Ottocento. Benché introdotto dalla rappresentazione malevola del
Possevino nel Seicento, nell’ambito della secolare polemica dei gesuiti contro
Machiavelli.
È matematico. Jean Giono gli si è appassionato,
nel corso un soggiorno a Firenze e ne ha scritto lungamente: “La generosità non
esiste. Calcolo, punto e basta”. E poi: “Se si chiede a un uomo di Stato
moderno «Cos’è il machiavellismo?», risponderà: «il machiavellismo è
rivoltante» (come un oggetto è contundente,
e le sevizie gravi). Rivoltante,
ossia riflesso della natura umana. Allora anche la matematica è rivoltante. A volte si vorrebbe che 2 e 2
facessero cinque o tre, ma 2 e 2 fanno 4”. O anche: “Impassibilità in presenza
di crimine e vizio? Impassibilità del matematico dinnanzi a 2 più 2 che fanno
4” .
Monomotapa – L’edizione di Giono, “Note
su Machiavelli”, che lo cita, lo dice un “reame immaginario” della favola “I
due amici” di La Fontaine. Mentre è un reame esotico ma ben reale che La Fontaine
cita alla prima riga, il regno dell’ Africa meridionale che durò dodici secoli,
dal 400 al 1629.
Moravia
–
Montefoschi ricorda Moravia sul “Corriere della sera-Roma” nei suoi ultimi
giorni. Allegrissimo, pochi giorni prima della morte, malandato e “di pessimo
umore” due giorni prima. “Aveva avuto come un rombo dentro l’orecchio per
l’intero pomeriggio”, un “insulto” (morirà di emorragia cerebrale), e “non
aveva notizie della moglie da una settimana”, Carmen Llera. Per i diritti la
moglie ci sarà.
Pinocchio – Un’opera di fantasy, dove a ogni incrocio si prende
la direzione sbagliata. Cioè, una che porta al punto giusto per un percorso
sbagliato.
Sciascia – Uno spirito religioso? Nella
silloge postuma di scritti sul giallo, “Il metodo di Maigret”, è una dimensione
che emerge in più punti. Partendo dall’ipotesi Del Buono-Vittorini-del Monte
che il giallo s’impianti nella Bibbia.
Te Deum – È la preghiera più musicata,
la preghiera del ringraziamento. Probabilmente più dell’“Ave Maria”, e del “Requiem”
– che tuttavia annovera anch’esso una ventina di composizioni di musicisti di
nome. Di spiriti religiosi, e non - Verdi, per esempio, Berlioz. Come compositori di “Te Deum” Wikipedia ricorda Palestrina, de Victoria, Domenico
Cimarosa, Purcell, Händel, Bruckner, Berlioz (per l’Esposizione Universale di
Parigi, 1855, n.d.r.), Giovan Battista Lulli, Mendelssohn, Mozart, Haydn,
Verdi, Galassi, Pärt e Reger. A cui vanno aggiunti almeno Dvořak e Kodàly –
quest’ultimo nel 1936, per i 250 anni dela liberazione di Buda dalla
dominazione turca. Ma anche Puccini, nella “Tosca”, fa cantare un “Te Deum”. Mentre
il
sito Bach Cantats ne elenca molti altri, basati sul “Te Deum tedesco” di Lutero,
la traduzione in lingua tedesca del “Te Deum” latino, recepito come “Inno
Ambrosiano”, che i santi Ambrogio e Agostino avrebbero cantato a Milano per il
battesimo di quest’ultimo (“Das deutsche Tedeum”, o “Der Ambrosianische Lobgesang”)
– ma la datazione più recente è di un secolo posteriore, e non ambrosiana ma
siriaca. Musicato da Praetorius, Scheidt, Buxtehude, J.S.Bach, C.P.E. Bach.
Carl Heinrich Graun e Johann Christian Bach ne
composero uno sul testo della tradizione italiana, in latino: Graun un “Te Deum”
in grande stile per il re di Prussia Federico II a Berlino, J.C.Bach, “Giovannino”,
uno a Milano nel 1759, e uno a Londra tre anni più tardi. Michael Haydn ne comporrà sei, Joseph Haydn due.
C’è anche un tradizione inglese, basata sul testo “italianate”
(latino), cioè sulla tradizione della chiesa cattolica: oltre a Purcell, 1694,
per la festa di santa Cecilia, vi si sono cimentati Haendel, Sullivan, Parry, Stanford,
Walton.
leterautore@antiit.eu
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