Un problema il film lo pone, questo come tanti altri in questa
stagione: che cosa i critici vedono – che è il problema più grande dei media
che hanno perso la funzione lro, di mediatrici per il pubblico. O si limitano a
riprodurre i clichés che la
promozione propone. Compreso Willem Dafoe da Oscar, che invece ha un ruolo
minore. E un secondo problema semmai propone: quello degli attori
cinematografici, che gli Oscar celebrano, mentre sono effetto di trucchi
sapienti: del trucco propriamente detto, della fotografia, e della regia (inquadrature,
montaggio). Di questo “Sogno chiamato Florida” un Oscar appropriato avrebbe allora meritato la piccola Moonee, Brooklynn Prince, da cui Le Guay estrae
mille espressioni memorabili – oppure la madre-ragazza, Bria Vinaite, che
però è un personaggio negativo.
Un film girato in fretta, con attori non di nome, eccetto le poche
pose di Dafoe, venduto molto bene. Si dice il contraltare dell’American Dream,
ma è molto poco. È un neo realismo non della povertà ma della miseria morale, l’American
Dream vi figura anzi corretto, con le assistenti sociali, e l’aiuto ai
bisognosi.
Di Le Guay, una ventina di film all’attivo, si ricorda solo “Molière
in bicicletta”, ma allora per merito degli attori, Fabrice Luchini, Maya Sansa
e Lambert Wilson.
Philippe Le Guay, Un sogno
chiamato Florida
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