Amore - È sacrificale
- il sacrificio è proprio dell’amore. È tragico: se divide annienta, se unisce
crea disamore. È romantico. È barocco: barocco è il romanticismo eterno, del
marchese von O. che convince l’amata a farsi uccidere da lui, che vuole morire
- ed è l’autore, lo stesso Kleist del “Catechismo dei Tedeschi”, manifesto
dell’odio.
Meschino, direbbe un siciliano, è troppo
amato.
Goethe fa dire a Werther il caso della
giovinetta bella e pura che s’innamora, e più non vede che l’amore e
l’innamorato: “Dimentica il mondo intero, non ode, non vede, non sente che lui,
non aspira che a lui, l’Unico”, e “va dritta allo scopo”. Grazie a “ripetute promesse,
che coronano tutte le sue speranze, e ardite carezze che accendono il suo desiderio”,
si dona. Per finire in “una morte annientatrice”: “Stende le braccia per cingere
l’oggetto dei suoi desideri... e il suo amato l’abbandona”. Ma glielo fa dire
un 12 di agosto, forse distratto dalla calura, il rifiuto rigenera.
Il problema non è l’altro, è l’idea
dell’amore, che non può asservire.
Anima - “Se
l’anima è dotata”, dice Aristotele, “del genus del movimento, allora dev’esserle
propria una determinata specie di movimento, volare, camminare,
crescere, diminuire”. Altrimenti, senza la specie, “l’anima non è dotata
di movimento”, o il movimento non ha anima. Questo è più probabile. Ma non c’è
anima senza gli attributi – di conoscenza, di volizione?
Dio –Sarà in ogni luogo ma non all’inferno.
E dunque?
Dormitio – Si dice della Vergine, dei santi. È la morte dei santi, dopo che hanno fatto i miracoli: il riposo è
attitudine mentale, una piega intima della personalità. Si direbbe un’arte.
Ma c’è chi si affatica
dormendo. E ci sono eroi e santi muti.
Guerra - Alla partenza per la guerra il cuore degli eroi è leggero. Dentro
si portano se stessi, di fronte hanno il vuoto. Poi la violenza scaccia la
leggerezza e riempie il vuoto, la consapevolezza di sé. Si diventa ciò che si
fa, si uccide dopo essere morti.
Deserta è la natura, l’unico luogo dove la
violenza si esercita con superbia, impunita. E la voluttà di distruggere: detta
diabolicamente suprema capacità creativa, genera da millenni insoddisfazioni
prima che sconfitte.
Di Sade, Hitler e Stalin non ce n’è mai
abbastanza per riempire il vuoto, che la violenza stessa in realtà scava.
Linguaggio – La rete lo riduce e non espande, e lo
devitalizza. In tre modi. Con l’innovazione costante, non di processo, ma di pura
denominazione, presto soppiantata da una nuova, per ragioni di commercio più
che di significanza: il linguaggio proprio della rete, sigle e gerghi compresi,
è di obsolescenza rapidissima, anche annuale, anche meno che annuale. Ripetitività,
e lo si vede nei commenti odiosi (hater)
soprattutto, ma anche nei buoni-e-belli: non è un linguaggio ma un formulario. L’immagine:
ormai la comunicazione nei social è orale e fotografica, non più scritta, articolata
cioè – e quella orale va per formule, quella per immagini è puramente
occasionale, non curata e spesso non significativa, o allora mimando gli emoji.
Libertà
-
“Meglio liberi che ricchi”, dice von Hayek, liberale Nobel tardivo - ipocrita
forse precoce? O non direbbe, il liberale, che la libertà produce più ricchezza
– e l’ingiustizia è più o meno uguale? Viene il sospetto che si è ricchi perché
si è liberi. E vale perfino il contrario: più si produce ricchezza e più si è
liberi, che si è liberi in quanto si è ricchi. La ricchezza certo non è tutto.
Ma è niente?
Il liberismo si è imposto introducendo
il sospetto che al mercato si trovino più grano, più viaggi, più atomiche, più medicine,
più hot pants, e più cura.
Morte – La morte è giovane, per chi ha
vissuto e vive. Si muore sempre troppo presto, anche nell’insignificanza, il
rimpianto è talvolta giusto.
Nomi - Ogni cosa certo ha un segreto. I nomi
stessi, le parole dette sono segreti che ognuno dà all’altro. A volte non
nascondono nulla.
Tempo – È accelerato e
approfondito (ristretto) da non molto – il tempo freccia. Con la possibilità di
datare i reperti, anche preistorici. Con la scienza dell’universo. Con la
perdita del senso religioso. Prima si viveva nel presente, passato e futuro si
sollevavano in funzione di un pacifico presente.
Traduzione – Molta filosofia è equivocata in
traduzione. Discussa, discutibile, ma irrelata con l’opera originaria. Dal
greco, per esempio, di Platone molte lezioni è possibile trarre, non
convergenti, dipende dalle traduzioni. Peggio ancora dal tedesco, che pure
spesso è semplice - le vecchie traduzioni Laterza, di Kant, di Hegel, di
lettura perfino incomprensibile o insignificante, oltre che traditrice. Da Heidegger anche per difficoltà intrinseche
(ma si sono fatte in pochi giorni le traduzioni dei voluminosi “Quaderni neri”).
Molti sono gli equivoci a causa delle
prime traduzioni, dal francese. “Sei zum Tode” per esempio diventato
“Essere-per-la-morte”, mentre invece è “Essere verso la morte”.
Ma su questo aspetto Heidegger è il
primo traduttore-traditore, in quanto appropriatore della terminologia greca. Nonché
la metafisica, si preclude così pure la dialettica: dýnamis, enèrgheia,
termini basici della dialettica, essendo stati ridotti nella tradizione latino-scolastica
a potentia e actus, argomenta, ogni dialettica è resa
impraticabile e inutile. Mentre non lo è.
zeulig@antiit.eu
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