venerdì 6 aprile 2018

Stendhal rifà Custine, o madame Duras

Il romanzo di un giovane gay? Gli ingredienti ci sono: il “segreto” alle prime pagine, di cui solo la madre è a conoscenza, la patente di “moralità” di cui i medici chiamati a consulto dalla madre apprensiva si affrettano a gratificare il giovane, l’inappetenza – detta impotenza ma è inappetenza – per la giovane moglie. Con la quale per il resto condivide tutto. E soprattuto per la “politica”, lo spirito sociale ribellistico, alle convenzioni e al patrimonio, non nuovo in Francia tra i nobili declassati ma sì nei romanzi. Per cui, quando Stendhal quarantenne nel 1827 decise di scrivere e pubblicare questo suo primo romanzo, l’accoglienza fu fredda anche tra gli amici, divisi tra restaurazione e ribellismo.
È il romanzo di lui, comunque, di Octave. Armance è lei, che non è la protagonista: il racconto è tutto di lui, dei suoi problemi. La titolazione incongrua è probabilmente voluta per spostare l’attenzione da un romanzo simile, “Aloysius”, che il marchese de Custine venne scrivendo e pubblicò in contemporanea con l’“Armance”. I due romanzi sono basati, sempre probabilmente,  su un aneddoto vero. O su una situazione che i due scrittori conoscevano o si erano inventati. Più che per essere il racconto dell’impossibilità di amare (di essere felice), “Armance” si legge per il metaromanzo che vi si potrebbe innestare.
A partire dalla “Premessa”. Due pagine nelle quali l’autore in qualità di editor professa avversione per la Restaurazione politica. E insofferenza per lo “stile borghese”: “Per me non c’è niente di più noioso dell’enfasi teutonica o romantica…. L’autore sarebbe disperato se gli facessi crrico di uno stile borghese”. Quanto alla vicenda, “Ovvero alcune scene di un salotto parigino 1827” è il titolo completo che Stendhal aveva dato al suo romanzo – riprodotto ancora nella prima traduzione  postbellica, a opera di Bonfantini, massimo riscopritore di Stendhal (il racconto è stato poi ritradotto anche da Cordelli).
È già Stendhal, se Stendhal è – Genette – “la trasgressione costante  ed esemplare dei limiti, delle regole e delle funzioni apparentemente costitutive del giuoco letterario”. In forma non tanto di sperimentazione, ma di rottura dei canoni, per evitare la noia – la sfida suprema è contro la noia. Il risultato è però settecentesco. E non Rousseau né Diderot ma Choderlos de Laclos, di pieghe su pieghe, meno consequente. E un po’ stravagante, con eserghi in lingua per ogni capitolo, in inglese soprattutto, soprattutto da Shakespeare, ma anche in spagnolo e in portoghese. Il romanzo del romanzo ha invece più punti di interesse. 
Sarà una coincidenza, ma Octave è proprio Astolphe de Custine. È bello della stessa bellezza del marchese, riccioluta, morbida. Che ha anche lui una madre troppo bella, Delphine - per vent’anni amante di Chateaubriand, aveva dato il nome all’eroina e il titolo al romanzone “italiano” di Mme de Staël. Figlio anche lui di famiglia legittimista, esuli espropriati e perseguitati dalla rivoluzione del 1789. Reduce anche lui, come Octave al secondo capitolo, da una bastonatura (in “Armance” colpi di spada) da parte di una marmaglia soldatesca. Le coincidenze sono plurime. Anche Alphonse, come Octave, ha tentato eroico il matrimonio. E alla stessa maniera: dopo aver rifiutato varie candidate della madre, aveva scelto una giovane remissiva, alla quale aveva anche fatto un figlio.
Custine e Stendhal si conoscevano e si frequentavano. Anche se non avevano gli stessi gusti – ma amavano entrambi viaggiare, e condividevano pure la passione per l’Italia. Il romanzo di Stendhal è pasticciato: è a ogni pagina, si può dire, una cosa e il contrario, difficile dare corpo a Ottavio stesso, che prende due terzi delle pagine. Curiosa impossibilità, se non è un pastiche della vita di Custine.
Altrimenti “Armance” resta un plagio – Stendhal era maestro di trascrizioni, come usa dire in musica. Di Claire de Duras, “Il segreto”, 1823 – pubblicato nel 1821 e riscritto nel 1823, l’anno di “Ourika”, il romanzo della schiavitù, per cui madame de Duras è negli annali. Ne era convinto Tomasi di Lampedusa, “Lezioni su Stendhal”. L’autore del “Gattopardo” ricostruisce lo “scandaletto” che accolse “Il segreto” (chi era l’impotente?), grazie al quale “il romanzo ebbe grande voga”. Stendhal lo comprò, spiega il principe, e in dodici giorni lo riscrisse, intitolandolo “Olivier”, dal nome del protagonista del “Segreto” – titolo poi cambiato dall’editore in “Armance”, mentre il nome del protagonista diventa Octave.
Stendhal, Armance



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