Sono paesi come gli altri, terre di problemi e opportunità.
Ampiamente europeizzati, quindi legati al mondo più ricco, fino a qualche tempo
fa, e più “progredito” - civile, democratico, ugualitario. Alcuni sono parte dei
Bric, quelli che stanno per farcela, a entrare nel gruppo dei paesi
economicamente forti, a giungere a un reddito pro capite nella media dei paesi
industrializzati. Prima l’Argentina, poi il Cile e il Brasile, ora il Perù. Ma
senza un tessuto connettivo stabile.
Delle 50 città più violente al mondo, 42 sono in
America Latina – 17 nel solo Brasile, 12 in Messico 5 in Venezuela, 3 in
Colombia, 2 in Honduras, 1 in Guatemala e El Salvador – più la Giamaica. Si
uccide per droga, per mafia, per la politica, e anche per niente. Con tassi
altissimi, dal 5 all’11 per mille abitanti. La celebre Acapulco in Messico è la
terza città al mondo per densità di assassinii, 107 per ogni 100 mila abitanti.
La violencia si è perfino predicata
in chiesa, seppure a fini “rivoluzionari”.
Non solo il Venezuela, o Cuba, o il Nicaragua non
possono avere un governo liberamente eletto. In Brasile, sotto le apparenze, è
la stessa cosa: i presidenti eletti vengono regolarmente rimossi, a favore di
questo o quell’interesse. Mentre in Messico “regna” da sempre lo stesso partito,
solo di nome Repubblicano. Il Perù non ha più da quasi cinquant’anni un
presidente che non sia finito in prigione – dismessa la carica. Il Guatemala
(ha già un comico a capo del governo), l’Ecuador di Moreno che faceva festa col papa Francesco, un piccolo dittatore come tanti, o la Bolivia non si governano meglio.
Della corruzione è vano parlare, tanto è diffusa.
Usava incolpare la “conquista”. Ma è un evento
remoto. E dunque? Il sangue non c’entra, il razzismo non ha basi. Ma la razza c’è,
è un dato: i popoli sono diversi. Per
linguaggio o mentalità - accumulo
storico socializzato. Che ha evidenti riflessi nella fisiologia: emozioni,
passioni, riflessi condizionati.
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