venerdì 11 maggio 2018

Gli ayatollah sono inaffidabili

Gli europei sono contro la decisione di Trump di rinegoziare l’accorso nucleare con l’Iran, ma la decisione di Trump era inevitabile. L’accordo del 2015 non mette nessun argine all’espansione territoriale e militare di Teheran, eccetto che per l’armamento nucleare. E sul nucleare consente che Teheran bari sui controlli – vere o false che siano le accuse israeliane. Il governo italiano, per quanta cautela usi nei rapporti con l’Iran, molto floridi economicamente, analizza in questo senso la situazione.
Nei tre anni dell’accordo, forte del recupero dei capitali e della riduzione dell’embargo commerciale, Teheran ha aggiunto al presidio in Libano, con Hezbollah (la forza dominante e decisiva nel piccolo pese dei cedri), posizioni salde in Iraq, Yemen e Siria, politiche e militari. Ha accresciuto il bilancio militare, sempre nei tre anni, del 40 per cento, con enfasi speciale sui missili a lunga gittata. Compresi i vettori di testate nucleari. E ha cessato ogni dialogo, politico e diplomatico, con le capitali occidentali, Roma compresa, che invece coltivava prima dell’accordo: ora parla solo con Putin e con Erdogan, che però negano ogni influenza.
Il regime degli ayatollah, anche col liberale Ruhani al governo, pratica distintamente la taqiya, la dissimulazione che il “Corano” consente e consiglia. Che è poi, in queste materie, l’arte della diplomazia. L’accordo patrocinato da Obama, debole con Teheram come con tutti i  regimi islamici, gli ayatollah hanno utilizzato non per migliorare l’economia e il benessere ma per moltiplicare la potenza militare. Nel vecchio disegno dello scià di fare dell’Iran la potenza egemone del Medio oriente – la quinta potenza mondiale, diceva. 
Ma potrebbero avere commesso un errore, per la prima volta dopo i quasi quaranta anni di governo: non hanno messo a profitto questi tre anni. Non sul piano diplomatico, poco sul piano militare, e solo in Siria. Ora rischiano l’isolamento. Anche in Siria. 

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