Gli umori sono spenti nelle capitali
arabe, dominate dall’islam sunnita, che è in guerra con l’Iran sciita, dal
Cairo a Riad. Ma gli umori popolari che la diplomazie europee fiutano sono
rabbiosi, e sono contro. Contro i loro governi, e quindi per l’islam di questi governi nemico, quello degli
ayatollah. Erdogan esce dal silenzio sunnita perché è l’unico che in qualche
modo dipende dal voto popolare.
I palestinesi di Gaza uccisi dai
cecchini israeliani sono un monumento all’Iran. È il consenso univoco nelle
capitali europee. Nel momento di una grossa perdita di peso internazionale
degli ayatollah, dopo la denuncia americana dell’accordo sul nucleare e le sanzioni.
Per la stessa precisione dei tiratori scelti israeliani - senza alcun danno, e
contro avversari non armati.
Un monumento inciso in una memoria
indelebile. La sovversione, che i sunniti hanno avuto libertà di inscenare nel
mondo arabo al tempo di Obama, non sarebbe spenta anche se non si manifesta. Navigherebbe sotterranea. È un riflesso condizionato del mondo arabo - forse non dell’Iran, il più vecchio potentato della
storia, ma nel mondo arabo la vendetta è imprescindibile.
Più terrorismo è la risposta attesa.
Non esclusa una vera primavera araba. Contro i regimi cioè che inscenarono
quella del 2011.
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