Non è la prima volta che il Quirinale si arroga la decisione sul
governo, contro la maggioranza parlamentare. Anche se non in questi termini drammatici, al debutto della legislatura, senza una ragione, e in televisione. E tutte non hanno portato bene.
Lo fece Gronchi nel 1960 con il governo Tambroni che nessuno difende. Scalfaro lo fece nel 1994 con Berlusconi, contro una riforma delle pensioni che non gli era gradita, non era gradita alla Cgil, molto migliore della Fornero, più progressiva, e senza lesione dei diritti acquisiti, con vent’anni quasi di anticipo, che avrebbe da sola risolto il problema del debito. Napolitano lo fece nel 2011 con l’infausto governo Monti. Ora Mattarella, che non ha voluto il governo Conte, della maggioranza parlamentare, e non ha nemmeno una sua soluzione.
Lo fece Gronchi nel 1960 con il governo Tambroni che nessuno difende. Scalfaro lo fece nel 1994 con Berlusconi, contro una riforma delle pensioni che non gli era gradita, non era gradita alla Cgil, molto migliore della Fornero, più progressiva, e senza lesione dei diritti acquisiti, con vent’anni quasi di anticipo, che avrebbe da sola risolto il problema del debito. Napolitano lo fece nel 2011 con l’infausto governo Monti. Ora Mattarella, che non ha voluto il governo Conte, della maggioranza parlamentare, e non ha nemmeno una sua soluzione.
Un decisionismo che non è legale, e non porta bene. L’eccesso di
poteri del presidente, che è il notaio di una Repubblica parlamentare e non un presidente
eletto con poteri assoluti.
Scalfaro si riservava i ministeri dell’Interno e della Giustizia
– oltre che i capi della Polizia, Masone dopo i “suoi” Parisi e Coronas. Nel
suo primo governo, Amato, 1992, sostituì
Scotti e Martelli con Mancino e Conso (e il direttore delle carceri
Niccolò Amato con Adalberto Capriotti, suo uomo di fiducia), contro i quali poi si avvierà il processo
Stato-mafia (Capriotti si è rifiutato di rispondere). Nel governo anti-Berlusconi di Lamberto Dini i giudici Brancaccio
e Mancuso. Il quale, dopo un voto di sfiducia alla Camera nel 1995, non vorrà dimettersi,
suscitando una quasi crisi di governo - il presidente del consiglio non può
dimettere un ministro, può solo dimettersi lui, facendo cadere tutto il
governo.
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