sabato 12 maggio 2018

Il ’68 è un processo

Il quasi novantenne Morin, che il Maggio francese nel 1968 visse dal di dentro, non fa palinodie né ritrattazioni. Professore a Nanterre, una delle università più movimentate, analizzò gli eventi su “Le Monde”, in due serie consecutive. E nello stesso anno ne stese una prima lettura, con Castoriadis e Claude Lefort, in una pubblicazione con questo titolo – riedita vent’anni dopo con una saggio dei tre sul periodo trascorso. Qui Morin ripresenta immutata l’analisi di allora.
La rivolta studentesca e giovanile non era sovversiva, e non era nemmeno politica. Parlava e impose un altro linguaggio, anche comportamentale e visivo, negli stili di vita, fino all’abbigliamento, nel solco della liberazione. Dai pregiudizi e dai veti. Una contestazione permanente, e una riappropriazione - il Sessantotto sarà quello che “si prende tutto”. Avviando processi innovativi che ancora non hanno esaurito la carica: sulle minoranze, razziali, sessuali, ideologiche, etc., sulla condizione femminile, sulla coscienza ambientale, e – con meno fortuna – contro il consumismo, i consumi slegati dal bisogno.
Il resto è storia. Compreso il fatto che il ’68 fu il ’67, le ricolte sudentesche a Roma e Milano. O già il ‘64, la prima rivolta universitaria, nel campus di Berkeley in California. Fu – è - un processo, che il Maggio francese simbolizza. O la breccia che fece cadere il muro.
Edgar Morin, Maggio ’68. La breccia, Cortina, pp. 110 € 25

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