Non un capriccio, il racconto è simbolico della potenza dell’amore.
Circostanziato attraverso le ambientazioni e le reazioni ordinarie, dei
genitori, che arrivano fino a una denuncia per circuizione di minorenne, del perito del tribunale, degli insegnanti e i compagni di scuola, delle compagne e
la maestra di danza. Un racconto straordinariamente delicato e giusto. La
ragazza, Greta Zuccheri Montanari, sta nel ruolo come se fosse la sua vita personale.
Lo stesso i comprimari.
Una storia strordinariamente “precisa”, contemporanea – non tardo
Ottocento-primo Novecento, di quelle cui Avati ci ha abituati. Opera di un regista-sceneggiatore
ottantenne, di straordinaria sensibilità. “Questa la sfida
del film, rendere vera, credibile, azzardare addirittura che diventi
condivisibile la scelta di Dony”, Avati la spiega così: “Una scelta
probabilmente anacronistica, contro tutto e tutti, in un presente che pare
premiare solo l’egoismo”. E invece no, il
presente ama le sfide impossibili. L’amore in uno sguardo è solo possibile in
questo quadro. Che Avati stesso, chi altri, delinea: di una ragazza che è pesce
pilota della sua classe, e con la stessa semplicità (facilità) e risolutezza
decide altro. Anche di collaborare con lo psichiatra che il tribunale ha
incaricato di valutarla.
Un film che per vari aspetti avrebbe sfondato in sala, e invece è
stato limitato a Rai 1 – certo non per mancanza di un distributore, le produzioni
Rai ne trovano sempre. Il cinema al cinema va a finire, sarà durato giusto un
secolo?
Pupi Avati, Il fulgore di
Dony
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