Barricate –
D’obbligo e di stagione a Parigi, come strumento e simbolo di rivoluzione.
Nella rivoluzione del 1848, a giugno, nella Comune del 1871, maggio, e nl ’68, semlre a maggio. Le
barricate si dicono a Parigi “tradizionali”.
Ivan Ilyin 2 – È il nume di
Putin, il suo riferimento filosofico-teologico e la sua copertura, specie ora,
in Ucraina. Lo vogliono tale, in America, la rivista “Foreign Affairs” e lo
storico del Centro-Est Europa Timothy Snyder, “Ivan Ilyin, Putin’s Phiilosopher
of Russian Fascm” (“The New York Review of books”, 5 aprile), ma per una volta
in sintonia con lo stesso presidente russo.
Su Ilyin wikipedia ha
poche righe - la Treccani niente. In italiano. In inglese wikiepdia si è invece
da poco rinforzata con le pagine e gli argomenti dell’informativa pubblicata
da Anton Barbashin e Hannah Thoburn su
“Foreign Affaitrs” del 20 settembre 2015.
Putin ha scoperto l’ideologo panrusso nel
2006. Su segnalazione della sua “eminenza grigia” Vladimir Surkov, il
responsabile della propaganda del Cremlino, col quale da allora in poi non fa
che citarlo a ogni occasione importante.
Ilyin è rivalutato anche
dalla Chiesa Ortodossa, come “filosofo religioso”. E dai residui del partito
Comunista, di cui Ghennadi Zyuganov è l’animatore, che di Ilyin dice: “Ha dato
un contributo molto importante allo sviluppo del’ideologia di Stato russa del
patirottiismo”. Secondo lo storico Snyder, che però è anche un teorico del
Russiagate, dell’accoppiata Ilyin-Putin influenza dominante nella politica
americana, Ilyin è citato, oltre che da Zyuganov, dagli estremisti di destra
Democratici Liberali. L’ex presidente Dimitri Medvedev “ha raccomandato i libri
di Ilyin alla gioventù russa”. E “in questi ultimi anni, Ilyin è stato citato
dal capo della Corte Costituzionale, dal ministro degli Esteri, e dai
patriarchi ortodossi”.
Quello che è certo è che
a Ilyin si sono ispirati Solženicyn e altri scrittori nazionalisti. E che il
revival di Ilyin è dovuto a Nikita Michalkov, il regista. Ha scritto molto su
di lui, e ha organizzato la traslazione delle spoglie dalla Svizzzera al
monastero di Donskoy a Mosca, secondo le ultime volontà di Ilyin, con una
cerimonia importante a ottobre del 2005. A maggio del 2006 Michalkov ha
ottenuto dal Fondo Culturale Russo, del ministero della Cultura, l’acquisto
delle carte di Ilyin, che lo studioso Nikolai Poltoratzky aveva affidato nel
1963, alla morte della vedova di Ilyin, all’università di Stato del Michigan,
dove insegnava. A partire dal 2005, sono stati ripubblicati 23 volumi delle
opere di Ilyin.
I motivi del revival di
Ilyin sono molti. Ma uno in particolare lo ha imposto a Putin e ai suoi
collaboratori: l’Ucraina. Ilyin partiva dal principio schmittiano che “la
politica è l’arte di identificare e neutralizzare il nemico”. La grandezza
della Russia non confidava all’odio, anzi al contrario: “È impossibile
costruire la grande e potente Russia sull’odio”, è una delle sue citazioni più
frequenti (da “La cosa principale”, nella raccolta “I nostri compiti”): non
sull’odio di classe sociale (socialdemocratici, comunisti, anarchici), né
sull’odio razziale (razzisti, antisemiti), o sull’odio politico”. Ma
sull’Ucraina, che metteva sempre tra virgolette, aveva idee specifiche, Negli
anni trascorsi in Germania, fino al 1938 come funzionario dello Stato tedesco,
caratteristicamente filo e antinazista, aveva capito che c’erano disegni
sull’Ucraina in funzione antirussa. In un saggio del 1950, “Che cosa lo
smembramento della Russia significa per il mondo”, teorizza “agenti stranieri”
sempre all’opera, anche contro la Russia (allora potentissima Unione
Sovietica). Le grandi potenze, se ne ne sarà la possibilità, tenteranno
“inevitabilmente” di provocare caos e disorganizzazione per ammettersi parte
dello Stato russo: “La Germania si muoverà sull’Ucraina e i paesi Baltici (la
Germania allora era divisa, n.d.r.), l’Inghilterra morderà sul Caucaso e l’Asia
Centrale”. Un volta che l’Occidente, in particolare la Germania, continuava
Ilyin, si sarà annessa l’Ucraina, ne userà il territorio per indebolire lo
Stato russo.
Secondo Snyder, “gli
argomenti di Ilyin erano ovunque quando le truppe russe penetrarono più volte
in Ucraina nel 2014. Quando i soldati ricevettero l’ordine di mobilitazione per
l’invasione della Crimea a gennaio del 2014, a tutti gli alti burocrati russi e
ai governatori regionali fu mandata una copia de “I nostri compiti” di Ilyin.
Quando le truppe russe ebbero occupato la Crimea, e il Parlamento russo ne votò
l’annessione, Putin citò Ilyin come giustificazione.”, etc. – a Ilyin si ispirò
il comandante russo mandato a organizzare la
seconda entrata delle truppe russe in Ucraina, “nelle province
sudorientali del Donetsk e del Luhansk”.
Populismo – È al centro della raccolta di saggi sull’Italia del
sociologo politico marxista Perry Anderson, il direttore della “New Left
Review”, pubblicata due anni fa,
“L’Italia dopo l’Italia”. Che la categoria impernia sulla “ricetta suicida”
dell’Europa dell’euro: contrazione della spesa, pubblica e privata, taglio del welfare, taglio della Funzione Pubblica,
“e la riparazione dei debiti sulle spalle degli Stati membri della periferia
della Ue”. Una perversione in effetti difficile da immaginare. A esito
semplice: a metà 2014 il pil europeo era ancora inferiore a quello del 2008, e
l’Europa l’unica area ancora in crisi al mondo. Con Draghi Kaisertreu,
il banchiere del re – nel suo caso regina, Angela Merkel.
Una discesa agli inferi che nel
caso italiano s’innestava su un paese indebolito dalla finta rivoluzione di
Mani Pulìte, a opera di un giudice Pci, D’Ambrosio (ma anche Colombo), e uno
Msi, Davigo (ma anche Di Pietro). E un singolarissimo panorama della corruzione
al vertice della politica europea, in Germania, Francia, Gran Bretagna,
Spagna peggio che in Italia: della corruzione in senso proprio, compravendite del
potere, per lucro personale.
Anderson ricostruisce l’operazione
Mani Pulite per contestare la cosiddetta Seconda Repubblica: in realtà si è
imposto un indebolimento della Costituzione e delle istituzioni, lasciando
libero campo agli interessi, compresi quelli irresponsabili, dell’apparato
repressivo. “Quando la Seconda Repubblica muoveva i suoi primi passi, l’Italia
godeva ancora del secondo più alto Pil pro capite a parità di potere
d’acquisto tra i maggiori paesi Ue, dietro solo alla Germania: una qualità
della vita in termini reali superiore a quella di Francia o Regno Unito”. Il
seguito è macerie.
Un capitolo analizza la corruzione
in Europa: un racconto brechtiano: di presidenti e primi ministri al soldo
d’interessi di parte – Berlusconi, che andava solo a puttane, e coi soldi
propri, ci fa una meschina figura. Un capitolo analizza la deriva autoritaria
del Quirinale, di governi non eletti, di banchieri, uomini d’affari e
tecnocrati. In governi del presidente, governi non eletti, camere sciolte d’autorità,
e giudici, banchieri e giornalisti che licenziano i governi eletti.
È stato categoria a lungo dell’arsenale cominformista, in
Italia del Pci. Populista era qualsiasi politica o dottrina che si appellasse
ai bisogni delle masse senza essere del Pci.
È il mantra su cui Asor Rosa articolava “Scrittori e
popolo”, un “classico” del ’68. Che per questo lo pose in dissidio col Pci, il
suo partito. Augusto Iluminati fra i tanti, della corrente istituzionale del
partito Comunista, gli imputò “gravi perplessità”. In realtà lo stesso Asor
Rosa, pur esponendo ampiamente le motivazioni “populistiche”, non prendeva
posizione in loro favore e anzi ne
sottintendeva la critica. Le categorie populiste che Asor Rosa individuava
erano: la mitizzazione del popolo, il socialismo piccolo-brghese
interclassista, in uno col riformismo gradualista, l’illusione
paternalistico-educativa, il nazionalismo acritico al confine con lo
sciovinismo.
Fu, dopo Asor Rosa e per altri versi, categoria discussa nel
’68 italiano. Riprendendo modi e polemiche dei Repubblicani storici. In
particolare di Pisacane contro Mazzini, al quale muoveva gli stessi rimproveri
che Asor Rosa esumerà in “Scrittori e popolo”: il paternalismo illusorio
dell’educazione delle masse, l’antisocialismo piccolo-borghese, della piccola
proprietà, dei piccoli interessi, il paternalismo. Finendo per confluire in un populismo antipopulista.
Della polemica di Pisacane, il Movimento riprenderà anche la
tournure. Mazzini è tutti noi: “In
Mazzini si personifica la vita del popolo italiano fino al 1948”. Ma “a Roma
fu troppo romano”. Lodevole sempre: “Mazzini, se erra, conserva sempre la
coscienza la più pura, e le intenzioni le più rette”. Ma: “Egli non tradisce
mai i suoi principi; sono i suoi principi che qualche volta tradiscono lui”. Il
principio populista: “Egli propende a credere che gli individui non
rappresentino le nazioni, ma che le nazioni seguano l’impulso de’ pochi; e
questo è gravissimo errore”. Andrebbe invece detto: “Alcuni dicono che la
rivoluzione deve farla il paese, ed è incontestabile. Ma il paese è composto da
individui, e poniamo il caso che tutti aspettassero questo giorno senza
congiurare, la rivoluzione non scoppierebbe mai; invece, se tutti dicessero:
«La rivoluzione deve farla il paese, di cui io sono una particella
infinitesimale, epperò ho anche la mia parte infinitesimale da compiere, e la
compio», la rivoluzione sarebbe immediatamente gigante”. Un’opinione politica e
una mobilitazione non più mediata, ma immediata, individualizzata, che si vuole
contro il populismo, ma per confluire
nell’indistinto – un populismo appunto antipopulista. Un populismo
individualizzato, singolarmente in armonia con la parcellizzazione
dell’opinione all’epoca di internet.
astolfo@antiit.eu
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