lunedì 7 maggio 2018

Il mondo com'è (342)

astolfo

Barricate – D’obbligo e di stagione a Parigi, come strumento e simbolo di rivoluzione. Nella rivoluzione del 1848, a giugno, nella Comune del 1871,  maggio, e nl ’68, semlre a maggio. Le barricate si dicono a Parigi “tradizionali”.

Ivan Ilyin 2 – È il nume di Putin, il suo riferimento filosofico-teologico e la sua copertura, specie ora, in Ucraina. Lo vogliono tale, in America, la rivista “Foreign Affairs” e lo storico del Centro-Est Europa Timothy Snyder, “Ivan Ilyin, Putin’s Phiilosopher of Russian Fascm” (“The New York Review of books”, 5 aprile), ma per una volta in sintonia con lo stesso presidente russo.
Su Ilyin wikipedia ha poche righe - la Treccani niente. In italiano. In inglese wikiepdia si è invece da poco rinforzata con le pagine e gli argomenti dell’informativa pubblicata da  Anton Barbashin e Hannah Thoburn su “Foreign Affaitrs” del 20 settembre 2015.
 Putin ha scoperto l’ideologo panrusso nel 2006. Su segnalazione della sua “eminenza grigia” Vladimir Surkov, il responsabile della propaganda del Cremlino, col quale da allora in poi non fa che citarlo a ogni occasione importante.
Ilyin è rivalutato anche dalla Chiesa Ortodossa, come “filosofo religioso”. E dai residui del partito Comunista, di cui Ghennadi Zyuganov è l’animatore, che di Ilyin dice: “Ha dato un contributo molto importante allo sviluppo del’ideologia di Stato russa del patirottiismo”. Secondo lo storico Snyder, che però è anche un teorico del Russiagate, dell’accoppiata Ilyin-Putin influenza dominante nella politica americana, Ilyin è citato, oltre che da Zyuganov, dagli estremisti di destra Democratici Liberali. L’ex presidente Dimitri Medvedev “ha raccomandato i libri di Ilyin alla gioventù russa”. E “in questi ultimi anni, Ilyin è stato citato dal capo della Corte Costituzionale, dal ministro degli Esteri, e dai patriarchi ortodossi”.
Quello che è certo è che a Ilyin si sono ispirati Solženicyn e altri scrittori nazionalisti. E che il revival di Ilyin è dovuto a Nikita Michalkov, il regista. Ha scritto molto su di lui, e ha organizzato la traslazione delle spoglie dalla Svizzzera al monastero di Donskoy a Mosca, secondo le ultime volontà di Ilyin, con una cerimonia importante a ottobre del 2005. A maggio del 2006 Michalkov ha ottenuto dal Fondo Culturale Russo, del ministero della Cultura, l’acquisto delle carte di Ilyin, che lo studioso Nikolai Poltoratzky aveva affidato nel 1963, alla morte della vedova di Ilyin, all’università di Stato del Michigan, dove insegnava. A partire dal 2005, sono stati ripubblicati 23 volumi delle opere di Ilyin. 
I motivi del revival di Ilyin sono molti. Ma uno in particolare lo ha imposto a Putin e ai suoi collaboratori: l’Ucraina. Ilyin partiva dal principio schmittiano che “la politica è l’arte di identificare e neutralizzare il nemico”. La grandezza della Russia non confidava all’odio, anzi al contrario: “È impossibile costruire la grande e potente Russia sull’odio”, è una delle sue citazioni più frequenti (da “La cosa principale”, nella raccolta “I nostri compiti”): non sull’odio di classe sociale (socialdemocratici, comunisti, anarchici), né sull’odio razziale (razzisti, antisemiti), o sull’odio politico”. Ma sull’Ucraina, che metteva sempre tra virgolette, aveva idee specifiche, Negli anni trascorsi in Germania, fino al 1938 come funzionario dello Stato tedesco, caratteristicamente filo e antinazista, aveva capito che c’erano disegni sull’Ucraina in funzione antirussa. In un saggio del 1950, “Che cosa lo smembramento della Russia significa per il mondo”, teorizza “agenti stranieri” sempre all’opera, anche contro la Russia (allora potentissima Unione Sovietica). Le grandi potenze, se ne ne sarà la possibilità, tenteranno “inevitabilmente” di provocare caos e disorganizzazione per ammettersi parte dello Stato russo: “La Germania si muoverà sull’Ucraina e i paesi Baltici (la Germania allora era divisa, n.d.r.), l’Inghilterra morderà sul Caucaso e l’Asia Centrale”. Un volta che l’Occidente, in particolare la Germania, continuava Ilyin, si sarà annessa l’Ucraina, ne userà il territorio per indebolire lo Stato russo.
Secondo Snyder, “gli argomenti di Ilyin erano ovunque quando le truppe russe penetrarono più volte in Ucraina nel 2014. Quando i soldati ricevettero l’ordine di mobilitazione per l’invasione della Crimea a gennaio del 2014, a tutti gli alti burocrati russi e ai governatori regionali fu mandata una copia de “I nostri compiti” di Ilyin. Quando le truppe russe ebbero occupato la Crimea, e il Parlamento russo ne votò l’annessione, Putin citò Ilyin come giustificazione.”, etc. – a Ilyin si ispirò il comandante russo mandato a organizzare la  seconda entrata delle truppe russe in Ucraina, “nelle province sudorientali del Donetsk e del Luhansk”.

Populismo – È al centro della raccolta di saggi sull’Italia del sociologo politico marxista Perry Anderson, il direttore della “New Left Review”,  pubblicata due anni fa, “L’Italia dopo l’Italia”. Che la categoria impernia sulla “ricetta suicida” dell’Europa dell’euro: contrazione della spesa, pubblica e privata, taglio del welfare, taglio della Funzione Pubblica, “e la riparazione dei debiti sulle spalle degli Stati membri della periferia della Ue”. Una perversione in effetti difficile da immaginare. A esito semplice: a metà 2014 il pil europeo era ancora inferiore a quello del 2008, e l’Europa l’unica area ancora in crisi al mondo. Con Draghi Kaisertreu, il banchiere del re – nel suo caso regina, Angela Merkel.
Una discesa agli inferi che nel caso italiano s’innestava su un paese indebolito dalla finta rivoluzione di Mani Pulìte, a opera di un giudice Pci, D’Ambrosio (ma anche Colombo), e uno Msi, Davigo (ma anche Di Pietro). E un singolarissimo panorama della corruzione al vertice della politica europea,  in Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna peggio che in Italia: della corruzione in senso proprio, compravendite del potere, per lucro personale.
Anderson ricostruisce l’operazione Mani Pulite per contestare la cosiddetta Seconda Repubblica: in realtà si è imposto un indebolimento della Costituzione e delle istituzioni, lasciando libero campo agli interessi, compresi quelli irresponsabili, dell’apparato repressivo. “Quando la Seconda Repubblica muoveva i suoi primi passi, l’Italia godeva ancora del secondo più alto Pil pro capite a parità di potere d’acquisto  tra i maggiori paesi Ue, dietro solo alla Germania: una qualità della vita in termini reali superiore a quella di Francia o Regno Unito”. Il seguito è macerie.
Un capitolo analizza la corruzione in Europa: un racconto brechtiano: di presidenti e primi ministri al soldo d’interessi di parte – Berlusconi, che andava solo a puttane, e coi soldi propri, ci fa una meschina figura. Un capitolo analizza la deriva autoritaria del Quirinale, di governi non eletti, di banchieri, uomini d’affari e tecnocrati. In governi del presidente, governi non eletti, camere sciolte d’autorità, e giudici, banchieri e giornalisti che licenziano i governi eletti.

È stato categoria a lungo dell’arsenale cominformista, in Italia del Pci. Populista era qualsiasi politica o dottrina che si appellasse ai bisogni delle masse senza essere del Pci.
È il mantra su cui Asor Rosa articolava “Scrittori e popolo”, un “classico” del ’68. Che per questo lo pose in dissidio col Pci, il suo partito. Augusto Iluminati fra i tanti, della corrente istituzionale del partito Comunista, gli imputò “gravi perplessità”. In realtà lo stesso Asor Rosa, pur esponendo ampiamente le motivazioni “populistiche”, non prendeva posizione  in loro favore e anzi ne sottintendeva la critica. Le categorie populiste che Asor Rosa individuava erano: la mitizzazione del popolo, il socialismo piccolo-brghese interclassista, in uno col riformismo gradualista, l’illusione paternalistico-educativa, il nazionalismo acritico al confine con lo sciovinismo.

Fu, dopo Asor Rosa e per altri versi, categoria discussa nel ’68 italiano. Riprendendo modi e polemiche dei Repubblicani storici. In particolare di Pisacane contro Mazzini, al quale muoveva gli stessi rimproveri che Asor Rosa esumerà in “Scrittori e popolo”: il paternalismo illusorio dell’educazione delle masse, l’antisocialismo piccolo-borghese, della piccola proprietà, dei piccoli interessi, il paternalismo. Finendo per confluire in un populismo antipopulista.
Della polemica di Pisacane, il Movimento riprenderà anche la tournure. Mazzini è tutti noi: “In Mazzini si personifica la vita del popolo italiano fino al 1948”. Ma “a Roma fu troppo romano”. Lodevole sempre: “Mazzini, se erra, conserva sempre la coscienza la più pura, e le intenzioni le più rette”. Ma: “Egli non tradisce mai i suoi principi; sono i suoi principi che qualche volta tradiscono lui”. Il principio populista: “Egli propende a credere che gli individui non rappresentino le nazioni, ma che le nazioni seguano l’impulso de’ pochi; e questo è gravissimo errore”. Andrebbe invece detto: “Alcuni dicono che la rivoluzione deve farla il paese, ed è incontestabile. Ma il paese è composto da individui, e poniamo il caso che tutti aspettassero questo giorno senza congiurare, la rivoluzione non scoppierebbe mai; invece, se tutti dicessero: «La rivoluzione deve farla il paese, di cui io sono una particella infinitesimale, epperò ho anche la mia parte infinitesimale da compiere, e la compio», la rivoluzione sarebbe immediatamente gigante”. Un’opinione politica e una mobilitazione non più mediata, ma immediata, individualizzata, che si vuole contro il populismo, ma per confluire nell’indistinto – un populismo appunto antipopulista. Un populismo individualizzato, singolarmente in armonia con la parcellizzazione dell’opinione all’epoca di internet.  

Riforma – G.K. Chesterston, “Cosa c’è di sbagliato nel mondo”, 41:  “La grande scoperta protestante è che il re non può sbagliare”. La Riforma non si fece per porre un argine all’immoralità, ma contro la moralità: ”Il mio punto è che il mondo non si stancò dell’ideale della chiesa ma della sua realtà. I monasteri vennero contestati non per la castità dei monaci, ma per la loro non castità. La cristianità divenne impopolare non per l’umiltà ma per l’arroganza dei cristiani…. Il sistema medievale cominciò a essere fatto  a pezzi intellettualmente molto prima che mostrasse il più piccolo segnale di cadere a pezzi moralmente. E grandi plurime eresie, come gli Albigesi, non avevano la minima scusa  di superiorità morale. Ed è di fatto vero che la Riforma cominciò a smembrare l’Europa prima che la Chiesa avesse il tempo di rimettersi in sesto. I Prussiani, per esempio, non furono affatto convertiti al cristianesimo fino a poco prima dela Riforma. Le povere creature ebbero appena il tempo di diventare cattolici che gli venne detto di farsi protestanti. Questo spiega molto della loro susseguente condotta”. 

astolfo@antiit.eu

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