giovedì 31 maggio 2018

Il peggio di Proust

Non ci sono marchesi. Nemmeno marchese. Il resto c’è tutto, da subito: una profusione di conti, duchi, principi, e principesse, duchesse, contesse, si perde il conto. Insieme a qualche nonno  e un po’ di zie. Più spesso in vileggiatura, iprimi anni: molto è questione di amicizie, anche interessate, e vacanze familiari. Poi ci sono le signore che offrono la cena ai giovani, per fare salotto. E la gelosia – ma ingenua, come tutto: Jean legge una lettera trasparente che lei gli ha dato da impostare, e se gliela avesse data apposta?
Jean è Marcel. Dettaglista, ripetitivo. Il brutto della “Ricerca”, più che il brogliaccio. In forma di “romanzo familiare”: la mamma e il papà sono al centro di Parigi e della Francia tutta. “La più bella poesia del mondo” è “Le lac”, del benevolo patron Lamartine. Ma non c’è altro mondo all’infuori di Jean. Una marchesa per la verità c’è, verso la fine, de Valtognes. E c’è già Bergotte. Poca roba. Un libro, il IX, intitolato “Sull’amore”, è una rassegna di milf, per lo più duchesse. C’è già il barone Charlus, si chiama conte di Lamperolles, ed entra in scena impoverito dai ricatti degli amanti, suicida –  ma con due pallottole in testa”? Ci sono le argenterie. E c’è già la “piccola frase” musicale.
Niente di memorabile, come al solito in Proust, specie dovendo sorbirselo, non si sa mai, fino in fondo. Poco anche di commestibile. Un autoritratto da giovane, X, IX, “Ritratto di uno scrittore”. L’anima dei luoghi – “I vari luoghi della terra sono anch’essi degli esseri…”. Di inedito è solo il rapporto filiale, specie con la madre. Anche la formazione, malgrado la “posa” evidente: Jean-Marcel cresce con Verlaine e Leconte de Lisle, e “una tetra noia alla lettura dei classici”, “Fedra”, “Cinna”, La Fontaine, fino a preferire “anche J.J.Weiss a Molière”. Al famoso liceo gli hanno insegnato del resto a considerare Orazio e Ovidio  “personaggi piuttosto miserelli”. E che “bisogna ammirare papà Hugo che è stato un formidabile poeta, perché era un vecchio cretino”. Snobismo su tutta la linea. Benché da prendere con l’attesa ironia, il guizzo finale non manca neanche qui, sui maestri di tanta scienza, che meglio di tutto apprezzano “assaporare orizzontalmente, distesi su una panchina, il divino nirvana” dell’oppio. E sull’autore stesso, “rassegnato a vivere di vanità, poiché tutta l’esistenza era solo vanità”, dopocena, dopo aver “scritto qualche verso parnassiano”.
Ci sono già i fiori, lunghe liste. I nomi invece sono diversi, e riaprono la noiosa ricerca di chi era chi. Dappertutto “si constatava che Jean era simpaticissimo”. Avrebbe potuto essere – forse è stato così concepito – un romanzo di formazione, di un’adolescenza ovviamente eccezionale. Ma lo snobismo lo ha soffocato presto, lasciando una prova d’incontenibile narrativa, da narratore onanista. È curioso, anche esilarante, straordinario, come tutto questo sia stato trasfigurato, riscritto daccapo, senza adattamenti, nella “Ricerca”: un miracolo. Ma bisogna voler bene a Proust.
Era un brogliaccio, di fogli sparsi e alcuni quaderni, contemporanei de “I piaceri e I giorni”, il libro del 1896, per un “romanzo” abbandonato qualche anno dopo, forse nel 1901. Rivenuto tra le carte da Bernard de Fallois, che lo ha pubblicato in tre volumi nel 1952, ordinati tematicamente più che cronologicamente. Subito tradotti ottimamente da Fortini, il miglior proustiano, per Einaudi nel 1953, in un unico volume. Nello stesso ordine che qui si riproduce. Con una traduzione rivista da Salvatore Santarelli. Introdotta con un saggio invogliante da Andrea Caterini.
Fortini prendeva le distanza dalla compilazione di De Fallois: “Contiene diversi errori, che non si sa se imputare alla stampa o al manoscritto. Per di più, si incontrano spesso pagine scritte senza la minima cura, fitte di ripetizoni, di proposizioni subordinate e relative ben lontane, non di rado, dalla fluenza e dal respiro della futura frase della «Recherche»”. É la materia bruta, brutta, che la “Ricerca” trasfigurerà
Autore di un solo libro
Proust è più cose. Voleva fare il Balzac di Fine Secolo – gli dedica anche un capitoletto (VII.II, “I quartieri d’inverno di Balzac”), ma ama troppo i suoi nobili. È così, partendo da questo “Santeuil”, che si vuole ormai autore di un solo libro, da “I piaceri e i giorni”, coevi del brogliaccio, alla “Ricerca”. Tutto è letto e gustato come propedeutico a. Tutto vi viene ricondotto, la saggistica, pure differenziata, per temi. umori, narratività, la corrispondenza, idem, la poesia, la biografia. Faticoso, e anche sbagliato. Un uomo e uno scrittore riducendo a una dimensione. Di passione unica, lo snobismo. Di sofferenza unica, la sessualità, per l’omosessualità da mascherare – del resto la soffrirà ancora Pasolini, molto dopo. Mentre è scrittore comico, di parodie, aneddoti e battute. La sua vena è cervantesiana, di ironia illimitata, o distacco critico dal mondo – sarcastico, misantropico, dietro il sorriso. E allora deciso a prendersi sul serio. Sulle cose meno serie, quali il name dropping. Di cui non avverte il ridicolo, oltre che il fastidio, procedendo come un bulldozer. .

Marcel Proust, Jean Santeuil, Theoria, pp. XXVI-801 €20 
ducendo

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