La sua conclusione è che confessarsi è esercizio che riconduce a Dio,
alle proprietà vivificanti dell’anima: “Ci si dice che il pentimento è un
reazione insensata contro ciò che è immutabile. Ma nella nostra vita non c’è
nulla di immutabile. Tutto può essere modificato, in quanto esiste un’unità di
significato, di valore e di attività. Proprio questa reazione «insensata» muta
l’«invariabile» e pone l’atto di cui mi pento, il «questo ho fatto», il «così
ero», nella totalità della mia vita su un nuovo piano e con un orientamento
tutto nuovo”. Una sorta di battesimo rinnovato, un’autoguarigione.
Ma ci arriva dopo una disamina, da fenomenologo fine, delle altre concezioni
del pentimento - a suo parere riduttivistiche – che è un excursus affascinante
di storia culturale. Il pentimento non è per paura – Lutero e Calvino – la teoria
più diffusa. Non è per vendetta contro se stessi – “illusione interiore”
(Spinoza), “”cattiva coscienza” (Nietzsche). Non è la depressione (Kather) che subentra dopo un’eccitazione
(“omne animal post coitum triste”, “puttane
da giovani, bigotte da vecchie”).
Il vero pentimento si manifesta quando è generato dall’amore di Dio.
È la prova di Dio, triplice, che Scheler spara rapido alla fine della
trattazione: “Se non ci fosse nient’altro
nel mondo da cui attingere l’idea di Dio, il pentimento da solo potrebbe darci l’annuncio
della sua esistenza”. Il ragionamento è semplice¨”Il pentimento comincia con un’accusa!”
– è pentimento del peccato, “attività giudiziaria”: “Ma davanti a chi ci accusiamo? Non appartiene all’essenza
di un’«accusa» la necessaria presenza di una persona che la intende e dinnanzi
alla quale l’accusa ha luogo?” Uno. Due: “Il pentimento è inoltre un’inbtima confessione della nostra colpa. Ma
davanti a chi confessiamo quando
restiamo in silenzio soli con la nostra anima? E verso chi si rende colpevole questa colpa che ci opprime?” Tre: “Il
pentimento termina con la chiara coscienza della rimozione della colpa, del suo
annullamento. Ma chi ci ha tolto via la colpa, o chi è in grado di farlo?”
Con una postilla (quasi) integralista – tutto ciò è cristiano, il
pentimento, il vero Dio: “Ciò che abbiamo detto fin qui non è una dottrina
specificamente cristiana, e tanto meno poi un dottrina basata su una rivelazione
positiva. Essa è cristiana soltanto nel senso in cui, come dice Tertulliano, l’anima
è per natura cristiana. E tuttavia la naturale funzione del pentimento ha
ricevuto soltanto nella Chiesa Cristiana la sua piena luce e il suo pieno significato. Soltanto la dottrina
cristiana col suo sistema ci spiega perché il pentimento posssiede nella vita
dell’uomo la funzione centrale della rinascita”. Avendo già rivendicato: “Il. Cristianesimo
degli inizi, non da ultimo con le lacrime inesauribili del suo pentimento, ha
rinnovato il mondo della tarda antichità, indurito nella ricerca del piacere,
delle potenza e della gloria, e gli ha donato un nuovo senso di giovinezza”. Spesso
in effetti la Chiesa è stata confessante
– e subito dopo Scheler nella stessa Germania contro il nazismo. .
Le interpretazioni filosofiche “negative del pentimento, da Spinoza
attraverso Kant fino a Nietzsche, si basavano su gravi errori. Il pentimento non
è zavorra morale né autoillusione, non è un semplice sintomo di disarmonia spirituale,
né un’assurda reazione della nostra anima contro ciò che è passato e ciò che è
immutabile. Al contrario, considerato dal lato puramente morale, è una forma di
autoguarigione dell’anima”.
Wittgenstein avrebbe obiettato: il piatto rotto non si ricompone. Ma
Dostoevskij avrebbe concordato: “L’uomo che si pente sinceramente e confessa i suoi
errori è come un neonato”.
Max Scheler, Il pentimento,
Castelvecchi, remainders, pp. 61 € 3,75
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