martedì 22 maggio 2018

La Repubblica Felice

“Alla fine degli studi era proibito cercar lavoro presentando un curriculum in quanto chi si loda si sbroda. Si incoraggiava la disoccupazione o il sottoimpiego (impara l’arte e mettila da parte)”.
La cuccagna era già opera di U. Eco dieci anni fa, in una Repubblica Felice che sembra una premonizione. In forma di “Utoppia”, con le due p, di una “Insula Perdita”, da lui ritrovata non dice dove. Basata sul “Principio Utopico Fondamentale” che il popolo ha sempre ragione – qui ancora nelle forme proverbiali.
Una Repubblica esilarante, prima che si avverasse. C’è anche il papa en travesti: “Era difficile riconoscere i sacerdoti perché l’abito non fa il monaco e questi uomini di Dio viaggiavano sempre sotto mentite spoglie”. In festa continua: “Si lavorava pochissimo, perché a ogni santo la sua festa, e pertanto esistevano 365 giorni giorni festivi all’anno”.
Non finirà bene: “Dopo pochi mesi dallo stabilimento di questa Repubblica Felice, ci si era resi accorti di come il Principio Utopico rendesse difficile la vita quotidiana”. In crisi l’agricoltura - “quando la pera è matura cade da sola”. E la falegnameria - “convinti che chiodo scaccia chiodo, si martellava senza costrutto”. Difficile la circolazione stradale, “assunto che chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non quel che trova”. In conclusione, dopo pochi giorni: “Il Legislatore, pensava che da cosa nascesse cosa, ma dal frutto si conosce l’albero e tutti i nodi vengono al pettine”.
La fine è malinconica, quanto l’avvio è stato trionfale: la Repubblica Felice del senno popolare è presto estinta, col “senno di poi” – “Averlo saputo prima che ogni legno ha il suo tarlo e ogni medaglia il suo rovescio”.
La profezia di Eco è una “recensione spuria” pubblicata in “Almanacco del bibliofilo”, 2007, sotto il titolo “Paese che va usanza che trovi” – ora in “Costruire il nemico”.

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