Jünger
è come lo dice Quirino Principe nella nota introduttiva: “Dotato del particolare
eroismo intellettuale che sa e vuole schivare la mentitrice dialettica tra «tipo
reazionario» e «tipo rivoluzionario» (tra «destra» e «sinistra» culturale),
sospinto dal suo destino individuale verso la forma dell’Anarca, e destinato ad
essere, anche in una guerra futura, il più disarmato degli eroi”. Anche se poi
non lo è: è inerme, ma ben di destra, nazionalista e gerarchico.
In
questi scritti, successivi a quelli della smobilitazione, della guerra, è critico
costante delle forme politiche che la Repubblica va assumendo. Nazionalista a
ogni passo, anche se cerca un “nuovo” nazionalismo, non solo militare. E una
forma politica che sarà detta della Rivoluzione Conservatrice. Ma ben per uno “Stato
nazionale, sociale, armato e gerarchicamente articolato”. Tra il bolscevismo, “misterioso
dispiegamento di un nuovo sentimento universale a Est”, e “un nazionalismo
rivoluzionario degli strati lavoratori e dell’intellighenzia”. Legati “misteriosamente”:
“Viviamo il curioso paradosso di un bolscevismo nazionale e di un fascismo che
ambisce scavalcare i confini tra le nazioni”. Un fatto “divertente” se si sa “pensare
rinunciando ai pregiudizi”. Ma non strano: “Al di sotto della loro superficie
si muove una grande forza comune”.
La
Germania di Weimar Jünger vuole in concorrenza con l’Est – non è mai questione
dell’Ovest, che resta il Nemico: “Dopo una chiarificazione attraverso la
battaglia e dopo l’esclusione di quanto è assolutamente teoretico, utopico e
inabile alla vita, verranno a costituirsi fronti comuni più ampi di quanto si
possa finora immaginare”. Un fronte comune anti-occidentale, restando “orientato
in senso nazionale, militaristico e imperialistico”. Il socialismo è “un importante
campo del nostro pensiero”. Da qui la “fondazione del partito
Nazionalsocialista, sorto per una profonda esigenza” – anche se ha già fatto “una
mossa sbagliata che ha prodotto un
inspiegabile errore della Storia” (il putsch
fallito).
Sono
gli ultimi echi dell’ambivalenza rosso-bruna nel persistente tema
nazionalistico-rivoluzionario della Germania di Weimar. Il nazionalismo,
invece, sarà tema duraturo.
“Privo della retorica bellicosa” dice Jünger Carlo Fruttero, ed è vero, è la sua specificità. Non odia
il peggior nemico. Nel libro-rivelazione, “Nelle tempeste d’acciaio”, e dopo. Che
però è vano angelicare: “Quanto meglio si osserva, tanto più si finisce per
credere al comando misterioso e preveggente di una grandiosa ragione biologica. È l’imperturbata forza
vitale a costituire il vero spirito del popolo tedesco che sempre torna a
manifestarsi… La nostra vita attuale è la prosecuzione della guerra con altri
mezzi”. Per nulla pacifista: “Davvero siamo nati in una generazione di
combattenti e la parola pace ha perso per noi il suo senso come pure – vorrei anche
aggiungere – il suo fascino”.
Un gruppo di scritti curiosamente – effetto della datazione? – in antitesi
col primo volume della raccolta, degli anni successivi alla guerra. Che si articolavano
perfino in senso liberale. Di uno comunque non corrivo al revanscismo dominante
e anzi saldo in uno sguardo pacifico sul mondo. L’effetto sconfitta si era già
dissolto.
Ernst
Jünger, Scritti politici e di guerra
1919-1933. Vol. II, 1926-1928, Libreria Editrice Goriziana, pp. 351 € 21
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