sabato 19 maggio 2018

La rivoluzione di Jünger rosso-bruna

Tre anni di scritture non decisive, rispetto ai sette anni del primo volume della raccolta, 1919-1925. Ma molto produttivi, e prodromi al “Lavoratore”, l’identikit dell’uomo del Novecento – e anche del Millennio, finora – che chiuderà la decade.
Jünger è come lo dice Quirino Principe nella nota introduttiva: “Dotato del particolare eroismo intellettuale che sa e vuole schivare la mentitrice dialettica tra «tipo reazionario» e «tipo rivoluzionario» (tra «destra» e «sinistra» culturale), sospinto dal suo destino individuale verso la forma dell’Anarca, e destinato ad essere, anche in una guerra futura, il più disarmato degli eroi”. Anche se poi non lo è: è inerme, ma ben di destra, nazionalista e gerarchico.
In questi scritti, successivi a quelli della smobilitazione, della guerra, è critico costante delle forme politiche che la Repubblica va assumendo. Nazionalista a ogni passo, anche se cerca un “nuovo” nazionalismo, non solo militare. E una forma politica che sarà detta della Rivoluzione Conservatrice. Ma ben per uno “Stato nazionale, sociale, armato e gerarchicamente articolato”. Tra il bolscevismo, “misterioso dispiegamento di un nuovo sentimento universale a Est”, e “un nazionalismo rivoluzionario degli strati lavoratori e dell’intellighenzia”. Legati “misteriosamente”: “Viviamo il curioso paradosso di un bolscevismo nazionale e di un fascismo che ambisce scavalcare i confini tra le nazioni”. Un fatto “divertente” se si sa “pensare rinunciando ai pregiudizi”. Ma non strano: “Al di sotto della loro superficie si muove una grande forza comune”.
La Germania di Weimar Jünger vuole in concorrenza con l’Est – non è mai questione dell’Ovest, che resta il Nemico: “Dopo una chiarificazione attraverso la battaglia e dopo l’esclusione di quanto è assolutamente teoretico, utopico e inabile alla vita, verranno a costituirsi fronti comuni più ampi di quanto si possa finora immaginare”. Un fronte comune anti-occidentale, restando “orientato in senso nazionale, militaristico e imperialistico”. Il socialismo è “un importante campo del nostro pensiero”. Da qui la “fondazione del partito Nazionalsocialista, sorto per una profonda esigenza” – anche se ha già fatto “una mossa sbagliata  che ha prodotto un inspiegabile errore della Storia” (il putsch fallito).
Sono gli ultimi echi dell’ambivalenza rosso-bruna nel persistente tema nazionalistico-rivoluzionario della Germania di Weimar. Il nazionalismo, invece, sarà tema duraturo.  
“Privo della retorica bellicosa” dice Jünger Carlo Fruttero, ed è vero, è la sua specificità. Non odia il peggior nemico. Nel libro-rivelazione, “Nelle tempeste d’acciaio”, e dopo. Che però è vano angelicare: “Quanto meglio si osserva, tanto più si finisce per credere al comando misterioso e preveggente di una grandiosa  ragione biologica. È l’imperturbata forza vitale a costituire il vero spirito del popolo tedesco che sempre torna a manifestarsi… La nostra vita attuale è la prosecuzione della guerra con altri mezzi”. Per nulla pacifista: “Davvero siamo nati in una generazione di combattenti e la parola pace ha perso per noi il suo senso come pure – vorrei anche aggiungere – il suo fascino”.
Un gruppo di scritti curiosamente – effetto della datazione? – in antitesi col primo volume della raccolta, degli anni successivi alla guerra. Che si articolavano perfino in senso liberale. Di uno comunque non corrivo al revanscismo dominante e anzi saldo in uno sguardo pacifico sul mondo. L’effetto sconfitta si era già dissolto.
Ernst Jünger, Scritti politici e di guerra 1919-1933. Vol. II, 1926-1928, Libreria Editrice Goriziana, pp. 351 € 21

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