sabato 5 maggio 2018

Letture - 344

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Alzheimer – Nietzsche ha la cosa (non il nome) parafrasando Leopardi, nella seconda “Inattuale” – “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”: “L’uomo chiese una volta all’animale: perché non mi parli della tua felicità e soltanto mi guardi? L’animale dal canto suo voleva rispondere e dire: ciò deriva dal fatto che dimentico subito ciò che volevo dire – ma subito dimenticò anche questa risposta e tacque”. Una liberazione per l’uomo di Nietzsche, poter dimenticare subito quel che si è fatto, anzi dimenticarlo mentre si vorrebbe raccontarlo. Che così prosegue: “Ma egli si meravigliò anche di se stesso, per il fatto di non poter imparare a dimenticare e di essere continuamente legato al passato: per quanto lontano, per quanto rapidamente egli corra, corre con lui la catena”, la storia. E si commuove al “vedere il gregge che pascola o, in più familiare vicinanza, il bambino che non ha ancora nessun passato da rinnegar e che gioca in beatissima cecità fra le siepi del passato e del futuro”. L’Alzheimer come una condizione fanciullesca.

Biblioteche – Più che infrequentate sono infrequentabili- eccetto che come tavoli di appoggio di studenti fuori sede, nelle città universitarie dei fuori sede, Roma, Pisa, Siena – le biblioteche comunali e le universitarie. L’inaccessibilità rilevava Canfora già vent’anni fa in “Il copista come autore”: fotocopiare è male, argomentava, perché esime dalla lettura, ma necessario,“anche a seguito della crescente ostilità che i bibliotecari manifestano verso i lettori, mirante a rendere loro la vita impossibile nei locali delle biblioteche”. È strano ma vero.

Computer – È inglese, viene da compute, calcolare. Ma meglio viene da “compitare”, anche nel senso operativo: calcola perché compita.

Dante – È Wagner. Secondo Nietzsche, che scrive a Gast il 2 gennaio 1887 del detestatissimo “Parsifal” del detestato Wagner: “Un sentimento, un’esperienza, un evento dell’anima, sublime e straordinario, nell’abisso della musica, che fa a Wagner il più grande onore”. Più altre lodi, di “altezza”, “superiorità”, “sublimità”, nonché “di una consapevolezza e penetrazione che trapassano l’anima come un coltello per ciò che viene visto e giudicato. Cose del genere si trovano solo in Dante, altrimenti in nessun altro”.

Leopardi – Ebbe riconoscimento immediato. Come poeta e come filologo classico. Nel 1835 c’era già un’antologia tedesca di suoi scritti filologici.
La separazione del filologo dal poeta è tarda di De S anctis – accentuata poi da Croce.
Era anche poliglotta. Scriveva in francese, ottimamente, e leggeva in inglese, senza difficoltà. Per esempio la “Storia romana”, ancora non tradotta in italiano, del Niebuhr, il banchiere e uomo politico danese-tedesco, filologo con speciale fiuto per testi sepolti, di Cicerone, di Tito Livio, iniziatore della storiografia moderna, che era stato ambasciatore della Prussia a Roma, e Leopardi aveva conosciuto nella prima vacanza romana, nel 1823: lo lesse attentamente, scrivendone con abbondanza nello “Zibaldone” nella traduzione inglese del 1827. .

Mondo – È del Cristo nei Vangeli. Propriamente, nel senso del termine latino, sarebbe “pulito, innocente”. Ma Cristo lo dice “nemico del bene”. Leopardi lo rileva nel pensiero LXXXIV: “Gesù Cristo fu il primo che distintamente additò agli uomini quel lodatore e precettore di tutte le virtù finte, detrattore e persecutore di tutte le vere; quell’avversario d’ogni grandezza intrinseca e veramente propria dell’uomo; derisore d’ogni sentimento alto, se non lo crede falso, d’ogni affetto dolce, se lo crede intimo; quello schiavo dei forti, tiranno dei deboli, odiatore degl’infelici; il quale esso Gesù Cristo dinotò col nome di mondo, che gli dura in tutte le lingue colte insino al presente”. Per obiettare subito dopo, nel LXXXV: “Negli scrittori pagani la generalità degli uomini civili, che noi chiamiamo società o mondo, non si trova mai considerata né mostrata risolutamente come nemica della virtù, né come certa corruttrice d’ogni buona indole, e d’ogni animo bene avviato. Il mondo nemico del bene, è un concetto, quanto celebre nel Vangelo, e negli scrittori moderni, anche profani, tanto o poco meno sconosciuto agli antichi”.  

Nietzsche – E l’Italia, è stato tema di molti studi. In rapporto a Leopardi, soprattutto al Leopardi filosofo, oltre che filologo e poeta, e al non citato Vico, in rapporto ai luoghi, che ne hanno riempito la vita, e alle persone. Da ultimo in “Nietzsche und Italien”, che è del 1990 – anche se organizzato da studiosi italiani. Poi, nella Germania riunificata, più nulla.

Plagio – È inevitabile con il “copia e incolla”? Canfora lo pronosticava già in “Il copista come autore”, 2002: “I plagi erano molto più frequenti quando le copie si facevano a mano (e forse torneranno frequenti ora che la scrittura è diventata virtuale e si può «tagliare» e «incollare» in appena qualche secondo)”. Come i numerosi casi di tesi di dottorato di ministri tedeschi testimoniano.

Stendhal – È un po’ tedesco? Sembra a Nietzsche, “La gaia scienza”, dove si chiede perché sia rimasto “estraneo ai francesi”, “Stendhal che forse ha avuto – tra tutti i francesi di questo secolo – gli occhi  gli orecchi più intelligenti”. E si risponde chiedendosi: “Forse perché, in fondo, aveva troppo in sé del tedesco e dell’inglese per essere ancora sopportabile ai parigini?”
Si potrebbe anche dire l’“Arrigo Beyle milanese” del suo testamento perché “tedesco”.

letterautore@antiit.eu

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