Lippman non ha una buona opinione dell’opinione
pubblica, venendo al giornalismo, e ala riflessione sul giornalismo, dalla
politica, in qualità di vice-ministro all’informazione (alla “propaganda”) nel
gabinetto interventista di Woodrow Wilson del 1917. Del resto, l’opinione pubblica è concetto e fatto
ugualmente vaghi. Dopo quasi un secolo non più precisati dei termini in cui
Walter Lippman li poneva nel 1922. Perché non c’è un’opinione comune, al
contrario: “Le persone vivono nello stesso mondo ma pensano e sentono in mondi
diversi”. E perché il mondo non si lascia interpretare univocamente, e anzi
presenta vari ostacoli e diversivi, materiali e psicologici: censure e
autocensure, o forme di riserbo, tempo, attenzione, aspettative, velocità,
semplificazione, linguaggi.
Lippman non si sottrae a Platone, alla caverna di Platone, alla conoscenza
come riflesso, barbagli di luce. E l’opinione pubblica disseziona non per fare
farne il nocciolo della democrazia, come si vorrebbe, ma per denunciarne gli
ingorghi, l’opinione sprofondando nei recessi melmosi della natura umana, non in
una illuminata-illuminista ragione. Più consono rimando sarebbe, argomentavamo
in “«Il Mondo» non abita più qui”, 1989, p. 24: “Per una volta posiamo
utilizzare Platone per stare con i piedi per terra (anche se rovesciando il
sottinteso aristocratico della figurazione), nell’altrettanto nota allegoria marina
del potere politico: senza «genuina e valida filosofia» nel governo degli Stati
non ci sarà mai una «tregua di mali», ma «non è naturale che sia il pilota (filosofo)
a chiedere ai marinai (popolo) di essere governati da lui”. C’è e ci deve
essere un rapporto governanti-governati,
e non confusione.
“Tecnicamente intendiamo per opinione pubblica l’intreccio fra i
protagonisti della comunicazione: giornalismo, manifestazioni politiche,
editoria, pubbliche relazioni, lobbies, pubblicità. Non è l’informazione. Questa
ne è il campo di coltura, ma ha estensione molto più vasta, e spessore più sottile,
dell’opinione pubblica. L’informazione si allarga infatti gli archivi, alle banche
dati, ai segnali stradali, ai servizi di consulenza, legali, bancari,
assicurativi, al consumo, agli elenchi del telefono, etc.. È la parola, con le
infinite variabili che ogni forma di comunicazione prende. Diventa opinione
pubblica quando assume rilievo e concrezione sociale”.
Non abbiamo nulla di meglio, per tenere la democrazia in allenamento, ma
senza illusioni. La vaghezza risalta nella metodologia e gli effetti dei
sondaggi, che dovrebbero esserne il termometro. Fermi all’obiezione che Herbert
Blumer, sociologo della comunicazione a Chicago, avanzava in un sintetico
saggio nel 1848, “Public Opinion and Public Opinion Polling”, quando il
sondaggio politico entrava in scena, nelle presidenziali americane. Una
“analisi scientifica” della “opinione pubblica” non è possibile - tanto meno
nella forma dei sondaggi. Non essendo possibile “isolare l’oggetto” della
ricerca: opinione pubblica è concetto astratto e generico.
Un testo che fa quasi un
secolo, è del 1922, e resta unico - con quello di Habermas, “Storia e critica
dell’opinione pubblica”, 1962: l’analisi è scarsa, la materia scivolosa. Questa
è la la riedizione 1999 di Lippman. Che fu tradotto solo nel 1963, nel recupero
olivettiano della sociologia americana con le edizioni di Comunità. Curato da
Cesare Mannucci, primo studioso delle forme della comunicazione – la cui
traduzione si ripropone. Nel 1999 è stato ripreso da Tranfaglia in chiave
anti-Berlusconi. Di Berlusconi cioè portato dai media, mentre ce li aveva tutti
contro, anche i suoi, e questo da solo spiega in abbondanza come l’opinione pubblica tenda a essere privata - anche solo per diritti di proprietà politica, o intellettuale. Il tema ora necessita
di ben altro approccio, argomentato e aperto ai new media, i social etc.. Ma la
riproposta è utile.
Il libro è vecchio, non ci sono
i gruppi di interesse, che poi Meynaud studierà, la radio era agli inizi, con
tutti gli altri media “caldi” che poi McLuhan sistematizzerà. Ma la parte
critica resiste – ai media, allora a stampa, Lippman riserva appena l’ultimo capitolo.
Walter Lippman, L’opinione pubblica, Donzelli, pp. 315,
ril. € 22
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