“La storia dei letterati non
di professione diventa meno occasionale in Italia, Primo Levi si mette forse in
testa”: è Franco Antonicelli a individuare per primo, e subito, nel 1947, alla
prima lettura di “Se questo è un uomo”
(il titolo è suo, Levi proponeva “I sommersi e i salvati”), il Primo Levi scrittore.
Cui Ferrero, ex Einaudi, dedica questo omaggio, un contributo al riassetto del
secondo Novecento italiano, svanite le nebbie del pensiero unico dogmatico che
lo avevano incerottato.
Primo Levi scrittore era stato, come si sa, rifiutato da Einaudi,
Pavese e Natalia Ginzburg compresi, che gli preferianno “La specie umana” di Antelme,
membro obbediente del Pcf, all’interno del quale era stato protagonista di un
divorzio scandalo da Marguerite Duras. All’editore torinese Primo Levi tornerà
per gli uffici di Italo Calvino, l’unica vera stella di quel firmamento (i suoi
risvolti e le sue lettere sono quanto di più inteligente, oltre che generoso, si
sa di quel lungo breve mezzo secolo): la rilettura di Ferrero recupera Primo
Levi in tutte le sfaccettature: custode della memoria, nonché analista dela
“zona grigia”, enciclopedista curioso e divertito, linguista, zooologo, poeta,
fantascientifico il giusto, e “narratore della felicità del lavoro”. Ma
soprattuto maestro dello scrivere chiaro: conciso e sapiente.
“Precisione e concisione” dice Calvino della scrittura di Primo Levi,
avendone individuato la doppia vocazione, zoologica e linguistica. Ma sono
formidabili utensili narrativi. I più adati a stimolare la sintonia col
lettore, che Levi dice essenziale al narratore – la simbiosi dialettica con l’ascoltatore.
La prosa “sostanziosa, giusta, naturalmente memorabile” di una recensione di
Raboni alla raccolta di poesie.
O l’invenzione di Faussone, personaggio poco digerito dai critici
leteterari Asor Rosa in testa, e tuttavia indelebile: un altro “operaio” da
quello-massa. Una elevazione che porterà Lévi-Strauss a dire Primo Levi il “grande
etnografo” del lavoro, della manualità.
Il torinese Ferrero rileva anche giustamente il taglio “piemontese”,
del pe rsonaggio e della scrittura. Nel
recupero delle forme dialettali in lingua, senza superlativi, senza i –mente,
senza ripetitivi. “Un Montaigne del Novecento” lo reassume Ferrero.
Ernesto Ferrero, Primo Levi,
Einaudi, pp. 138 € 9,50
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