Animalismo – Ha un’anticipazione in Leopardi – e poi in Nietzsche sulla traccia di Leopardi. Con un precedente nelle “Notti” di Young: “Guida la tua gregge in un pascolo pingue. Tu non la udrai belare mestamente… Ma la pace di cui esse godono è negata ai loro padroni”. Della condizione animale superiore perché immune all’afflizione e al tedio, al ragionamento, alla storia. Una diminuzione di competenze, ma un innalzamento di stima. Specie per quanto concerne la “immedesimazione” nel ciclo degli eventi naturali, mentre l’uomo deve adattarsi, con fatica, scontento.
Felicità – È vivere l’attimo?O
poter dimenticare – è la stessa cosa – di Leopardi e degli innumerevoli
leopardiani dell’Ottocento, da Schopenhauer in là: non dover far tesoro, non
essere oppressi dall’accumulo, tanto più se ragionato e formativo. La capacità
di sentire e vivere del fanciullo, dell’animale, non costretti dalla storia:
bisogna poter dimenticare al tempo giusto, oltre che dover ricordare. Meglio
ancora è la possibilità, dell’infante, dell’animale, di relazionarsi con le cose
– con il mondo – istintivamente e non per calcolo: quando si va incontro alla
vita “coma e danza o gioco”, sapendo “mettersi a sedere sulla soglia del’attimo”
– “La vita solitaria”.
Come
a dir e che il filosofo è infelice per definizione? Non necessariamente: la
filosofia sarà la felicità dell’infelice. Un buon pensiero come liberazione dal
rovello di pensare.
Ma
èvero che si vuole essere infelici.
Heidegger – Come filosofo
della “chiara notte del nulla”, leopardiana, è già noto in Italia nel 1937. Vi fa
riferimento Giovanni Amelotti, a proposito del “notturno” che apre “Il dì di
festa”, in “Filosofia del Leopardi”, 1937 (l’opera postuma di Amelotti ancora
fa testo su alcuni aspetti ci sono nuovi
studi di Antimo Negri, “Interminati spazi ed eterno ritorno. Nietzsche e
Leopardi”, e di Emanuele Severino, “Il nulla e la poesia alla fine dell’età della
tecnica: Leopardi”.
Nichilismo – È contraddetto
dallo stesso pensiero nichilista. Da Heidegger per esempio, in 120, o quanti
sono, volumi – più i “Quaderni neri” (più del
doppio, da solo, di Marx e Engels insieme, dei quali l’Istituto del marxismo-leninismo
del CC del Pcus, il defunto partito comunista sovietico, ha raccattato anche le
virgole: impresa sovrumana, due volumi per ogni anno di attività, e resta fuori
la corrispondenza). Come già da Nietzsche, come lo stesso Nietzsche
sapeva. Leopardi nell’ottobre 1820 annotava nello “Zibaldone”: “Hanno questo di
proprio le opere di genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità
delle cose,….servono sempre di consolazione”.
Pessimismo – È duplice, in
Leopardi come poi in Baudelaire: bisogna essere ottimisti (grandi lavoratori,
socievoli, attivisti) per poter professare il pessimismo – è un declivio che
richiede grande energia. Il sospetto, leggendo Leopardi o Baudelaire, è
confermato successivamente da Nietzsche, che ne scrive a Rohde il 15 luglio
1882: “Il mondo è povero per chi non è mai stato abbastanza malato per godere
di questa «voluttà dell’inferno»”. In precedenza, in due frammenti postumi, del
novembre-dicembre 1878, diceva del pessimismo che, nutrito da “infelici
raffinati, come Leopardi”, può rendere l’esistenza tutta intrisa di “dolce
miele”. Per una sorta di snobismo, vendicativo. Ma soprattutto per il fatto di
dichiararlo – se di vendetta si tratta, allora è un boomerang: “La loro
vendetta, il loro orgoglio, la loro inclinazione a pensare tutto quanto soffrono, la loro arte nel dirlo: tutto questo
non è –di nuovo – dolce miele?”. Così come “l’ascetismo è non di rado una scelta
fatta per sottile epicureismo”.
In
uno dei “Frammenti postumi 1881-1882), scritto su una copia dei “Saggi” di
Emerson, il pessimista Nietzsche è apodittico: “La capacità di soffrire è un
mezzo eccellente di conservazione, una specie di garanzia per la vita: per questo il dolore si è conservato;
esso è utile quanto il piacere. Mi viene da ridere quando ascolto gli elenchi
di sofferenze e di miserie, con cui il pessimismo cerca di dimostrare la sua
legittimità – Amleto e Schopenhauer e Voltaire e Leopardi e Byron”.
Leopardi
comunque opera per la “gloria”, come dice in più di un punto. Artefice, di
opere come opposte alla grazia, o disgrazia. Come poi sarà di Baudelaire: il
poeta (il creatore) non può essere pessimista - un genere che ancora Nietzsche
stigmatizzerà in un frammento due anni dopo: “La specie Hölderlin e Leopardi:
sono abbastanza duro per ridere della loro perdizione”.
Ragione – Era corruttrice
in Chamfort, contemporaneo degli illuministi, giacobino adente nella
rivoluzione dell’Ottantanove – la ragione a basso voltaggio, autoreferente,
soddisfatti di sé: “L’uomo nello stato attuale della società mi sembra più
corrotto dalla sua ragione che dalle sue passioni” . Le passioni avendo conservato,
“nell’ordine sociale, quel po’ di natura che vi si ritrova ancora”.
Riso – Compensa la
sofferenza, che solo l’uomo vive con coscienza? È la scoperta di cui Nietzsche
va fiero nel frammento postumo del giugno-luglio 1885 sul “Pessimismo tedesco”:
“Forse so meglio di tutti perché solo l’uomo rida: solo lui soffre così
profondamente, da avere dovuto
inventare il riso. È giusto che l’animale più infelice e melanconico sia anche il
più allegro”.
Rivoluzione – Leopardi ne
coglieva l’ambivalenza, nello “Zibaldone”. Come di un tentativo sbagliato di “geometrizzazione
del mondo”, il 26 marzo 1821. E un anno dopo, il 6 gennaio 1822, di un evento
carico di vitalità – la rivoluzione era quella francese: “Mettendo sul campo
ogni sorta di passioni, e ravvivando ogni sorta d’illusioni, ravvicinò la
Francia alla natura, spinse indietro l’incivilimento”. Di vitalità dunque retrograda:
è questo il proprio della rivoluzione? Sembra una contraddizione, ma Leopardi
lega la reazione alla crescita: “Aprì la strada al merito, sviluppò il
desiderio, l’onore, la forza della virtù e dei sentimenti naturali”.
Storia – Un’ancora o
una zavorra? Una frontiera da valicare o un confine? Un parapioggia o un’alluvione?
Angelo o diavolo? Sarà l’uno e l’altro, ma persuasivamente è “un pregiudizio
occidentale” – Nietzsche, che come molti in Germania sapeva separare l’Oriente,
che non conosceva, dall’Occidente, questa volta ci ha preso.
Supereroi – Sono nati per
essere patrioti oltre che imprendibili, e quindi “fascisti”, con cruccio di
tante adolescenze. Rimbalzano ora minoritari, neri, donna, gay probabilmente,
anche un po’ malati, dialettici, muti, in quella che si vorrebbe una lotta di
liberazione a tutto campo. Senza fascismo? Non ci può essere un fascismo delle
minoranze, ma un supereroe non è minoritario per definizione – o allora la maggioranza
è stupida (inerte, incapace).
zelig@antiit.eu
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