lunedì 28 maggio 2018

Secondi pensieri - 347

zeulig


Classico - Il classicismo va riletto, l’attitudine olimpica. Delfi e Olimpia erano banche, i tesori si prendevano a prestito. E la democrazia di classico ha solo i discorsi di Tucidide, insana com’era, furba, sempre violenta, alimentata da schiavi e colonie. La bellezza era negli orpelli, quella evansiana a Creta è al confronto di buon gusto classico. Non c’è tribù che non apprezzi il corpo dipinto: se dalla colorazione al naturale il passaggio è di civiltà, i greci classici erano primitivi – primitivi che scrivevano. Achille è un pazzo, Ulisse un furbo malvagio, un ladro di cavalli. Non si può non tifare Aiace, “il leone impazzito”, cui Ulisse sottrae l’armatura d’Achille: l’eternauta è un corruttore, per il più che fondato sospetto che si sia comprato i giurati, e un piantagrane, dell’armatura di Aiace non ha bisogno e non la userà. Non sono macchie nella Grecia luminosa del logos, bisogna rifare la scala delle passioni e della virtù. Tutta la guerra è una macchia sul logos acheo, i vincitori morali sono i vinti troiani, combattenti miti, il mito greco è molto poco greco. Tanta lucida argomentazione è sempre espediente al tradimento – quello di Tucidide per primo: quanto sono vergognose sia la democrazia di Atene che il suo odio della città che l’ha esiliato in quei discorsi che s’inventa nella “Guerra del Peloponneso”. A Monaco, dove Pericle non c’era, Tucidide avrebbe dato ragione a Hitler.

Controllo – È diventato circolare. Le vecchie distopie tiranniche e totalitarie, dalla Bibbia a Orwell, immaginavano un grande occhio al di sopra di tutto che tutto puntava. Ora il Grande Occhio-Orecchio si è materializzato nei minuti eventi della vita, attraverso l’uso monitorato del cellulare, degli acquisti, degli esercizi pubblici visitati, dei percorsi anche minimi, grazie ai circuiti di videosorveglianza ai fini della sicurezza (videocamere e droni), e con l’ascolto generalizzato delle conversazioni (intercettazioni) e corrispondenze altrui. Alla portata di tutti e di ognuno. Anche degli indiscreti – hacker. Con possibilità di manomissione, se non altro della loro (dei dati) riservatezza. 

Dio – Giardiniere, dell’effimero? Tale lo immagina Fontenelle, “Conversazioni sulla pluralità dei mondi”, in polemica con l’ateismo sensista: “Se le rose, che durano solo un giorno, scrivessero la storia, farebbero del loro giardiniere un ritratto a loro modo, e come un essere di più di mille generazioni di rose. Le successive, nel tramandarlo alle altre , non cambierebbero una parola. Su questo punto direbbero: «Abbiamo sempre visto lo stesso giardiniere. A memoria di rosa, non si è mai visto altri che lui»”. L’uomo dura più della rosa. Ma la sua memoria?
Quello di Fontenelle è “il sofisma dell’effimero”, obietta Diderot nel “Dialogo di D’Alembert”: “quello di una creatura passeggera che crede nell’immutabilità”. Che “crede”, però, non è effimero né sofistico, è un’altra cosa. 

Durata –Se ne travia in letteratura, da Proust in qua, il concetto, riducendolo a guardarsi l’ombelico – una “pizza” in termini narrativi: un rimirarsi  come rimuginare, ruminare, in surplace. Mentre è certo concetto innovativo e quanto mai veritiero in Bersgon, La grande novità della speculazione del filosofo francese consiste nell’avere identificato il tempo vissuto con la “durata”, che, per sua natura, non è percepibile mediante l’intelligenza, ma attraverso la memoria e la coscienza. Nel Saggio sui dati immediati della coscienza scrive: “Quando seguo con gli occhi sul quadrante di un orologio il movimento delle lancette… non misuro una durata, come pare si creda, mi limito a contare delle simultaneità, il che è molto diverso”. Il tempo astronomico dell’orologio è, infatti, un insieme di posizioni delle lancette sul quadrante che al passare degli istanti prendono posizioni diverse. È così che “noi non percepiamo praticamente che il passato”, aggiunge, “dal momento che il puro presente è l’inafferrabile progresso del passato che fa presa sul futuro”.

Filosofia . Quella dei philosophes non regge, non oltre l’aneddoto. Anche di aneddoti che avrebbero potuto avere sviluppo approfonditi, meno smart, di pronta presa. Tipo l’ “anima si Angélique, la figlia di Diderot, come la bambina la spiegava alò padre nell’agosto del 1867: “Qualche giorno fa mi è venuto in mente do chiederle cos’è l’anima. «L’anima?», mi risponde. «Ma si fa dell’anima, quando si fa della carne?»”


Isola – È concettuale, oltre che fisica. Come ogni senso figurato, ma di più. U.Eco (“Costruire il nemico”) classifica quattro tipologie di miti, corrispondenti a quattro tipologie di isole: “Le nostre fantasie sulle isole si muovono, ancora ai giorni nostri, tra il mito di un’isola che non c’è, e cioè il mito dell’assenza, quello di un’isola che c’è troppo, e cioè il mito dell’eccedenza, quello di un’isola non trovata, o mito dell’imprecisione, e quello di un’isola non ritrovata, ovvero un mito della insula perdita”. Eco se ne occupa in riferimenti alla letteratura, alla narrazione più che alla poesia (Stevenson, Verne, Peter Pan). Ma all’“isola” sottostà un approccio alla condizione umana. Non necessariamente asociale.

Scetticismo – Negato curiosamente da Diderot, con negazione cioè che lo afferma – posto che esso è sinonimo di dubbio e non di verità. Nell’immaginario “Dialogo tra D’Alembert e Diderot”, scritto interamente da lui, procede così:
“DIDEROT. Credete che vi sia una sola questione sulla quale un uomo, dopo averla discussa, resti con un’eguale e rigorosa misura di ragioni pro e contro?
D’ALEMBERT. No, sarebbe l’asino di Buridano.
DIDEROT. In tal caso  non esiste allora nessuno scettico, poiché, ad eccezione delle questioni matematiche – che non comportano la minima incertezza – in tutte le altre vi sono dei pro e dei contro”. Su cui cioè bisogna esercitare la critica.

Segreto – Simmel, “Il segreto”: “Ogni segreto è un segreto vuoto”.

Tribù - Non c’è tribù che non apprezzi il corpo dipinto. Il ritorno al corpo dipinto, sia pure in forma di tatuaggio, esprime un desiderio tribale, di riconcentrazione, magari a fronte della globalizzazione? O è il contrario, una forma di omologazione universale, globale. Un’umanità, si può dire, in forma di tribù.

È tribale l’Amico\Nemico, la dialettica politica e sciale di Carl Schmitt. Una persistenza che però di oblitera.

Verità Presuppone l’incertezza. Come la realtà presuppone l’irreale, o il non conforme, l’eccezione. E la morale – la scelta, la decisione – l’ambiguità, la nebbia persistente. La radice dialettica è ontologica oltre che conoscitiva, o pedagogica.

Viaggiare – Si viaggia in interiore homine. Per stabilire-annullare la lontananza (“L’uomo è l’amico della lontananza” di Heidegger) – per mantenersi in esercizio.

È il paradosso di Pirro e Cinea in Plutarco. Dove il filosofo s’informa dei progetti del re dell’Epiro, a ogni tappa opponendogli un “e dopo?” – “conquisteremo la Grecia”, “e dopo?”, “conquisteremo l’Africa”, “e dopo?”, e così via. Dopo l’India Pirro dice: “Dopo mi riposerò”.  “Perché allora”, conclude il padre del cinismo, “non riposarti subito”. M non si può: si fa il viaggio come si vive, si va per segmenti, per intervalli, da un “luogo” all’altro.

zeulig@antiit.eu

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