Studioso
di Gramsci, da oltre un quarantennio, e più della sua nozione di “egemonia”, Anderson
la prende qui alla lontana. Un tentativo – non detto – di dipanarne l’ambiguità. Anche a
fronte dell’eclisse dell’intellettuale, che era il suo portatore e agente. Parte da Erodoto, dalla guerra del Peloponneso,
dall’unione militare greca contro la Persia. E dalla semantica: egemonia è per
molti autori greci sinonimo di arkhé,
della legge. Intesa come strumento del potere. Con una variante “secondaria”,
in tempi di grandezza, di potere incontestato, che implica un po’ di interesse
comune, e quindi di consenso.
Scrivendo
nel 2017, il marxista-leninista della “New Left Review” non si fa illusioni. La
forza (coercion) è l’essenza del
potere. Si chiamerà egemonia per mascherare una debolezza, o alimentare un’illusione.
Dopo la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso, “l’oratoria ateniese,
non più in grado di esaltare l’impero,.rivalutò le virtù dell’egemonia, ora
convenientemente moralizzata come ideale del perdente”.
Perry Anderson, The H-word: the peripeteia of hegemony, Verso Books, pp. 208, ril. €
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