Nel
ricordo di Aldo Moro per i quarant’anni del suo assassinio non si menziona il concetto di “democrazia imperfetta” che applicava all’Italia, forse il suo
lascito più importante. Si è abbandonata la riflessione che fino ai suoi anni
era di rigore, sull’Italia venuta tardi alla democrazia. Dopo essere stata convintamente
fascista. E in una temperie politica antidemocratica.
La
categoria Moro applicava all’esclusione del Pci dalla dialettica parlamentare e
di governo. Ma è pur vero che votavano Pci – e Msi – due quinti abbondanti dell’elettorato,
poco meno della metà. Votavano cioè per escludersi. La stessa quota che oggi
vota Di Maio e Salvini, un italiano su due. Mentre la Democrazia Cristiana,
che tanto si magnifica oggi per la Germana, era ritenuta in Italia poco meno
che un’associazione a delinquere.
L’Italia è un paese in cui nel 1945-1947 si è potuto
uccidere per motivi politici più o meno impunemente. Ha avuto un quinquennio di
terrorismo con centinaia di morti, e migliaia di feriti. Ha distrutto quel poco
di democrazia che si era coagulata dopo la guerra per lasciare libero campo ad avventurieri
di ogni bordo, affaristi, neofascisti, leghisti, e ora vaffanculisti, dietro il paravento di una giustizia dichiaratamente persecutoria. Era trent’anni
fa la quinta, o quarta, potenza industriale, e ora arranca, unica fra tutti i paesi
industriali. E ha votato in massa contro una riforma del Parlamento che per tutti era necessaria, per dare un
governo democratico al paese. Il futuro avendo peraltro affidati a giovanotti
ribaldi che “bucano lo schermo”, di nessuna qualità.
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