Mafia, parola di cui poi dirà che non
si conosce in realtà l’origine e il senso originario, in un vecchio saggio
degli anni 1950, “Girgenti, Sicilia” (ora in “Pirandello e la Sicilia”), Sciascia
deriva dall’arabo nel senso di “luogo nascosto e riunione in luogo nascosto”.
Barbara Lezzi, la bionda ministro del
Sud, ha sconfitto D’Alema a Gallipoli. D’Alema ha rifatto Gallipoli, Lecce, la
città e l’università, e tutto il Salento. Prospero. Pulito. Moderno,
modernissimo. Ricco. Barbara Lezzi non ha fatto nulla, eccetto che postarsi su
instagram. La gratitudine non conta in politica. Neanche l’intelligenza.
Il Narratore-ragazzo delle pagine di
Proust riunite sotto il titolo “Jean Santeuil”, dal nome del ragazzo, si crede a p. 63 della riedizione “di
volta in volta Nerone e san Vincenzo da Paola”. Che sarebbe il miracoloso san
Francesco, infranciosato per guarire il re di Francia, dove tuttora è venerato
– a lui è dedicata la chiesa dell’Accademia di Franca a Trinità dei Monti, in
cima alla scalinata.
Razzismo
a Rosarno
Un immigrato maliano, Soumaila Sacko, è stato ucciso sabato 2
giugno dentro una fabbrica di laterizi abbandonata, e sotto sequestro
giudiziario, dove con due compagni cercava materiali da utilizzare nella
baraccopoli di San Ferdinando. I tre sono stati bersaglio di alcuni colpi di
fucile. Gli amici sopravvissuti hanno testimoniato, e l’assassino è stato
probabilmente identificato.
L’assassino ha sparato da distanza, settanta
metri, forse cento. Non si nascondeva. Era sul luogo con una sua macchina. I
due sopravvissuti, dopo il riconoscimento fotografico, diranno di averlo già
conosciuto, nell’alloggio di loro amici africani, anche loro braccianti, con i quali aveva familiarità.
Un brutto delitto. La morte di un
giovane di 26 anni, padre di famiglia al suo paese, ben integrato - contrattualizzato, volontario in parrocchia
benché islamico – e sindacalista attivo, per i diritti minimi degli stagionali
regolari. Con i quali viveva nella tendopoli del ministero dell’Interno a San
Ferdinando.
San Ferdinando è un altro mondo rispetto
a San Calogero, anche se ne dista una ventina di km. in linea d’aria. Soumaila
è come se fosse stato un intruso, prima che un ladro, in un mondo estraneo. Per
finire vittima di un assassinio assurdo, come tanti in Calabria. Dove si spara
per l’ira più che per calcolo – per fortuna poco, la Calabria non ha molti
assassinii. Un delitto che avrà tra le vittime anche il probabile assassino, un
uomo onesto, comunque incensurato. Tre giovani con un lavoro che devono rubare
mattoni e lamiere per fabbricarsi una casupola. Tre africani sindacalizzati
nella campagna di san Calogero, brulla e semiabbandonata.
Molti sono gli elementi di un dramma,
che avrebbero potuto alimentare il racconto degli inviati. Ma la caccia si è
aperta al razzismo: la Rai e i grandi giornali, “Corriere della sera”, “la
Repubblica”, La 7, e perfino Pagliaro
a “Otto e mezzo”, tra un Travaglio e l’altro, ci hanno “montato su un caso”. “Non c’è integrazione”, ha tuonato
la Cgil. Una manifestazione dei capoccioni della tendopoli, nigeriani e
senegalesi, che ne gestiscono i piccoli affari, freddi, frasi fatte, ripetitivi,
occhio fisso sull’obiettivo di ogni reporter, benché poco seguita, ha riempito
tg e giornali. “Ci trattano come animali”. Con la favola di un euro l’ora. E la
mafia.
Solo Alessia Candito ricorda all’ultimo,
tramite la Coldiretti, che gli agrumi di San Ferdinando-Rosarno si vendono alla
produzione a “pochi centesimi” il kg.. Solo interessa buttare robaccia in un
bidone della spazzatura chiamato Calabria. Buccini evoca “i moti di Rosarno”. Bonini
e Tonacci fanno quadrato il cerchio, mettendo insieme Soumaila, la mafia, gli
ex fascisti, e Salvini l’anti-immigrato
Molti non sanno nemmeno dove la Calabria
è, ma non è una attenuante. Altri, per esempio i corrispondenti locali dei
grandi giornali, si possono pensare coartati dalle redazioni, implacabili per
l’effettaccio. L’esito è una operazione razzista. Su Rosarno e San Ferdinando.
Sulla Calabria. Colossale. Prevenuta. Razzista e basta. Salvini è vero che è
senatore della Calabria, il capo della Lega, ma questo non è stato detto il 4
marzo, quando si è avuta la sorpresa, si scopre adesso – e ancora resta da
scoprire che Salvini ha avuto in Calabria i voti di Forza Italia e di Fratelli
d’Italia, furbo lo è (farsi eleggere coi voti degli alleati, e riservare i voti
leghisti, lombardi e veneti, ai suoi propri candidati).
Il razzismo c’è. Ed è brutto. Ma non c’è
a Rosarno. Che ha avuto prevalentemente un’amministrazione di sinistra, aperta
alla solidarietà, dapprima socialcomunista, ora Pd. Non c’è a San Ferdinando. A
San Ferdinando, borgo creato nel Settecento coi galeotti di S.M. borbonica per
bonificare la piana di Gioa Tauro (Ferdinando non è un santo, è il nome del re),
paesino di mare che si voleva turistico quarant’anni fa, ed è rimasto un agglomerato
polveroso, schiacciato tra il porto di Gioia e la tendopoli per gli stagionali,
c’è gente rassegnata, ma mai un atto d’intolleranza. Quattromila abitanti
sperduti (perfino wikipedia ne parla in modo incomprensibile, col traduttore
automatico probabilmente di qualche testo inserito in Australia o in Canada,
senza nessun controllo in questo caso della pignola redazione) accanto a una
repubblica autonoma di due-tremila africani, e mai un gesto d’insofferenza.
Anche questo è una tela di fondo per un
vero dramma. I residenti della tendopoli sono ufficialmente 500, quelli con le
carte, e con i contratti di lavoro. Ma di fatto sono duemila e anche tremila.
Una repubblica indipendente, con propri spacci, donne, droghe. Sviluppata per
mettere a frutto i guadagni dei lavoratori certificati, la mafia non c’entra,
non quella calabrese. Succede nella polverosa San Ferdinando come nella ricca
California nella corsa all’oro. “A Ciambra” ne ha tratto profitto con immagini
spettacolari, uno spaccato peraltro veristico, ma è opera di un giovane americano,
Jonas Carpignano, ai cronisti italiani è chiedere troppo.
Il campo di San Ferdinando è tra
i meglio organizzati dell’ottantina di tendopoli in cui l’Interno ammassa gli
stagionali. Al Sud ma anche in Piemonte, in Lombardia, in Emilia-Romagna, nel
Veneto, nel Trentino. Con l’aggiunta, in queste regioni, del caporalato, come
documenta il centro “Placido Rizzotto” della Cgil nel “Primo Rapporto Agromafie
e Caporalato”, che a San Ferdinando invece non c’è.
La mancata “integrazione” che la Cgil
lamenta di questo campo esiste altrove? E qualcuno la cerca, fra gli immigrati
africani? Per quel poco che esiste, è a Rosarno-San Ferdinando più aperta. I
“residenti” sono contrattualizzati. Nel 2011 fecero sensazione le proteste
degli africani per le strade di Rosarno, per il ferimento casuale di uno di
loro con un fucile da ragazzini. Ma perché a Rosarno si poteva protestare –
anche se in testa s’erano quelli che poi sono diventati i capoccioni del campo.
A San Ferdinando gli immigrati non stanno
bene. Ma stanno meglio, e anche molto meglio, che in altri luoghi dove sono
ammassati. L’unico posto dove gli immigrati hanno un sindacato, almeno uno. L’unico
posto dove possono protestare, anche con atti selvaggi. Il “Ci trattano come
animali” del dealmaker nigeriano del campo, o senegalese, improvvisato demagogo, è un modo di dire locale –
“mancu li cani”, nemmeno i cani. Che l’affarista nigeriano, o senegalese,
ripete con la stessa burbanza. Si divide
il poco. Con dignità. E invece una storia di razzismo quale raramente si vede
ci è stata montata sopra. Proclamato: stupido, livoroso, convinto, violento. Di razzismo contro i locali, gente mite.
Bisognerà introdurre Gioia Tauro, o Palmi,
o Siderno nella Locride, fra le gite scolastiche obbligatorie, invece che Taormina
o Pompei. Bisognerà proiettare nelle piazze “A ciambra”. E magari una volta
andare a comprare le arance a San Ferdinando, dagli agrumeti a mare, costano poco e in
autostrada non è faticoso - la Salerno-Reggio meriterebbe comunque una gita,
giusto per il piacere.
Sudismi
sadismi
“Le
criticità e le condizioni più sfavorevoli rispetto alle probabilità dei bambini
di subire maltrattamenti si riscontrano in Campana, seguita da Calabria,
Sicilia, Puglia, Basilicata e Molise. Male anche l’Abruzzo e il Lazio”: Daniela
Bernacchi, Ceo e General Manager Cesvi. Cooperazione e S viluppo, onlus di
Bergamo. Criticità? Probabilità?
Manca
la Sardegna: Bernacchi non sa dov’è? O lì ci va al mare?Però, è vero: da
Bergamo l’Italia si vede fino a Rimini, più o meno, Cesenatico – e alle Alpi,
beninteso, e a Venezia: dall’Appennino in giù è nebbia.
Napoli
fra le “top ten”, in un repertorio di 257 città, per disagio economico-sociale
(Eurostat). Nessuno a Eurostat ci crede, però la classifica si fa lo stesso,
che costa?
Fermata a Fiumicino per il
malfunzionamento della sua carta d’identità elettronica, la signora Nicoletta Soddu
lamenta stupita: “L’ho richiesta nel comune dove risiedo, Randazzo in provincia
di Enna. Lavoro in una multinazionale americana e mi sposto spesso per lavoro”.
Ma non sa che Randazzo è provincia di Catania, e si vuole anzi catanesisssima –
Enna è anche lontana, a due ore. Il Sud è sempre un posto remoto, anche se una
multinazionale americana vi si stabilisce.
Il
primato
Prima di declinare il sicilianismo
invadente, in qualche modo celebrandolo, Sciascia ha in uno dei suoi primi
saggi, “Girgenti, Sicilia”, una nota sorprendente: “La Sicilia era una regione
ignota, prima che Giovanni Verga la scoprisse”. “Ignota dell’amor proprio” dice
Sciascia per l’esattezza. Colpito da una massima di Rochefoucauld: “Per quante
scoperte si facciano nelle terre dell’amor proprio, ancora ci sono molte
regioni sconosciute”.
Dall’ignoto, però, era balzata di colpo al
primato. Che Vittorio Emanuele Orlando stabiliva nel 1928, nella prefazione a “Le più belle pagine di Michele
Amari”. C’era un primato siciliano, fra i tanti dell’era dei primati nazionali,
che si chiuderà con la seconda guerra mondiale, dopo aver imperversato per un
secolo e mezzo. La storia è universale, argomentava Orlando, ma sempre “di essa
il centro vitale si racchiude in un punto determinato” - Mesopotamia, Delta del
Nilo, Atene, Gerusalemme, Roma, la tolda
di navicella nell’oceano: “Se così è, come disconoscere che la Palermo
di Edrisi e di Federigo lo svevo sia stata la Atene dei secoli XII e XII, e il
regno di Ruggero il Grande il più possente e fiorente e civile Stato del mondo
di quei tempi?”. E ancora: “In quei cinque secoli non fu forse la Sicilia un
nodo centrale in cui s’incontrarono , si urtarono, si elisero e si ricomposero
le forze dominatrici del tempo: il papato e l’impero, la civiltà cristiana e la
islamitica, lo spirito latino e lo spirito germanico, l’ideale di Comune e l’ideale
di Stato?”.
Obiezioni sono possibili. Era un’Italia
borghese, che non guardava di sotto. Era anche un’epoca in cui i paesoni
siciliani non vomitavano interminabilmente masse di viddrani – allupati, allucinati, terribilmente insicuri e quindi
violenti, i Montelepre, i Corleone, i Castelvetrano, le fecce di Palermo, di
Bagheria, di Alcamo, sull’onda possente della democrazia, giusta cioè e non
indigabile. Ma ora si va nel senso opposto, il primato si vuole della decadenza
e del crimine. Della corruzione della democrazia, o della democrazia corrotta?
leuzzi@antiit.eu
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